Le più attive sono le donne, chi fa volontariato ha più fiducia negli altri e in cambio ha più benessere personale.
Dagli stakanovisti della rappresentanza agli occasionali organizzati, passando dalle eccellenze, i laici dello sport, i religiosi e i professionisti dell’assistenza. Sono questi i sei profili tipo che delineano l’identikit del volontario. A fotografarli è l’Istat, attraverso un approfondimento realizzato da Tania Cappadozzi della direzione centrale delle statistiche socio-demografiche e ambientali dell’Istituto. L’analisi è stata presentata nell’ambito di un convegno, organizzato martedì 2 dicembre a Roma, per approfondire alcuni aspetti dello studio presentato nel luglio scorso e realizzato in collaborazione con Csvnet.
Il tasso di volontariato totale in Italia è pari al 12,6 per cento, sono infatti 6,63 milioni le persone che in Italia offrono il loro tempo per gli altri. Quelli che fanno riferimento al volontariato organizzato sono il 7,9 per cento (4,14 milioni) mentre il tasso di volontariato individuale è pari al 5,8 per cento, cioè a 3 milioni di persone. A livello territoriale, nel nord-est si registra il tasso di volontariato totale più elevato (16 per cento); seguono Nord-ovest (13,9 per cento) e centro (13,4 per cento). Il Sud si contraddistingue per livelli di partecipazione sensibilmente più bassi (8,6%) con una diffusione addirittura dimezzata rispetto al Nord-est.
Per quanto riguarda le tipologie del volontario tipo, secondo la ricercatrice dell’Istat sono essenzialmente sei. Il gruppo più consistente (32 per cento) è rappresentato dai cosiddetti “volontari per credo religioso”: si tratta in maggioranza di donne casalinghe che si impegnano facendo da catechisti, insegnanti o nella gestione delle associazioni (segreteria) e nei servizi (raccolta fondi, addetti mense, pulizie, etc.). Le motivazioni e le ricadute di questo tipo di impegno sono legate al proprio credo e al bene della comunità. Queste persone, in genere, svolgono anche volontariato non organizzato e si impegnano per lungo tempo. Al secondo posto ci sono i "professionisti dell’assistenza” (26,7 per cento): anche in questo caso nella maggior parte dei casi sono attive le donne, ma l’età è molto più bassa. Si tratta, infatti, di giovani e studenti, ma anche i personale qualificato e specializzato nell’assistenza alla persona. Le persone che appartengono a questa categoria di volontari, di solito, operano in un’unica organizzazione che si occupa di sanità, assistenza sociale e protezione civile. Al terzo posto della speciale classifica sul volontario tipo spiccano le “eccellenze del volontariato”, come le definisce l’Istat, cioè le persone laureate o comunque con un alto livello di scolarizzazione, che si impegnano in attività di elevata specializzazione ma anche in attività ricreative e culturali. Questo volontario tipo di solito opera in più organizzazioni, ha motivazioni orientate al bene comune e fruisce molto di attività culturali.
Scorrendo ancora la classifica dei profili, ci sono i “volontari laici dello sport”, per lo più allenatori delle piccole società sportive, che hanno già un’altra occupazione ma per motivi essenzialmente relazionali decidono di offrire la loro opera in maniera volontaria. In questo caso si tratta essenzialmente di uomini. Sono in maggioranza maschi anche i cosiddetti “stakanovisti della rappresentanza”. Si tratta di dirigenti di associazioni volontari nelle organizzazioni politiche e sindacali. Spesso operano in più organizzazioni e dedicano alla causa oltre 40 ore mensili. Infine, l’8 per cento del campione è rappresentato dagli “occasionali organizzati”: maschi, occupati con una fruizione culturale bassa e un impegno nel volontariato molto ridotto. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, i donatori di sangue che non si attivano tramite le organizzazioni. L’approfondimento di Cappadozzi, mette in luce anche altri due aspetti del volontariato: la m aggiore fiducia nel prossimo e il livello di benessere e ottimismo che mette in circolo. Se il giudizio sulla soddisfazione della propria vita nel totale della popolazione si ferma infatti al 6,8 per cento, nel caso dei volontari non organizzati questo livello aumenta del 6,3 per cento, mentre tra quelli organizzati dell’11 per cento. Stesso vale per il livello di fiducia verso il prossimo, che tra i volontari organizzati aumenta del 14 per cento anche nel caso di perfetti sconosciuti
Per quanto riguarda le motivazioni che spingono ad attivarsi nel volontariato, nel corso del convegno, è stato presentato anche un secondo approfondimento realizzato da Riccardo Guidi della fondazione Volontariato e partecipazione. “I volontari ci dicono che da quando hanno iniziato il loro percorso si sentono meglio con se stessi e hanno cambiato il modo vedere le cose – spiega Guidi – mentre le persone che non hanno avuto nessun cambiamento personale sono veramente poche”. Secondo l’indagine, la metà dei volontari indica come motivazione all’impegno il “fare fronte” ai bisogni non soddisfatti, per la comunità e l’ambiente. Il 30 per cento fa volontariato per “amicizia”, una risposta frequente sia tra i giovani che tra gli over 60, ma c’è anche un altro 25 per cento che è spinto da motivazioni di carattere religioso. Infine c’è un 17 per cento di persone che annovera tra le motivazioni della scelta ad impegnarsi il bisogno di valorizzarsi. (Fonte: Redattore Sociale)