Asset comunitari. Cooperare. Valore condiviso. (
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“Esiste un punto d’arrivo, ma nessuna via…”. Questa frase di F. Kafka descrive bene i termini della fase che stiamo vivendo. Il dramma della contemporaneità non sta appena nella fatica di individuare un fine, un obiettivo, un punto di arrivo, bensí nell’incapacitá di poterlo perseguire perché non si intravede il percorso…la strada. Lo sviluppo e la crescita scontano lo stesso problema e sono interrogati dalla stessa domanda: “qual è la via da percorrere per rigenerare senso, socialità, economia ed istituzioni?”
La Convention di CGM, Gruppo Cooperativo che associa quasi 1.000 cooperative sociali con oltre 42.000 occupati, ha messo a tema il futuro, offrendo come strada al cambiamento (#thesocialway), l’innovazione che sta “giá” accadendo nella propria rete di imprese sociali.
Sì, perché l’innovazione accade.
Diventa urgente, perciò, raccontare l’innovazione avendo negli occhi qualcosa e qualcuno, occorre declinare l’innovazione nel tempo “presente”. Di fronte all’innovazione è indispensabile recuperare un realismo al fine di cominciare a valorizzare, far contare e dare spazio all’innovazione che c’è, non solo all’innovazione che manca. La prima policy perciò è la narrazione.
Narrazione di imprese che re-interpretano il meccanismo della sharing economy, esperienze cooperative che rigenerano beni comuni, imprese sociali che attivano filiere produttive e distributive etiche, cooperative che erogano servizi di welfare co-producendoli insieme ai propri utenti, società ibride a matrice cooperativa che convergono verso nuove forme di governance con soggetti for profit.
Esperienze diverse ed eterogenee, con un denominatore comune: la comunità come motore imprenditoriale per co-produrre valore sociale ed economico, per tutti. E’ un sociale che si fa impresa e si candida ad essere motore per lo sviluppo e per un nuovo universalismo, dove la chiave per produrre valore nasce da una “certa visione” di innovazione sociale.
Un’innovazione che nasce da combinazioni di elementi già esistenti. Il cambiamento nasce ricombinando valore sociale, economico e istituzionale, dono e mercato, motivazioni intrinseche con culture manageriali, capitali con relazioni.
Un’innovazione che non puó essere rinchiusa dentro l’area del non profit. Se l’obiettivo è un cambiamento sistemico ( ri-generare le istituzioni) l’innovazione sociale non puó coincidere solo con quella prodotta dal sociale (visione minimalista), ma piuttosto con quella capace di rispondere meglio ai bisogni della società (visione sistemica). Per questo il non profit da solo non basta, ma occorre convergere verso nuovi modelli di produzione del valore che vedono protagonisti anche for profit, PA e cittadini secondo una prospettiva di sussidiarietà circolare.
Un’innovazione sociale che nasce da un orientamento collettivo e da un processo cooperativo (lo sviluppo di comunità postula la creazione di comunità di sviluppo). Non basta l’opera di un changemaker, c’è bisogno di fiducia, di capitale sociale e di un’infrastruttura di relazioni: oggi sono i territori competitivi che fanno le imprese competitive e non il contrario.
Un’innovazione sociale capace di aggregare quel cambiamento localizzato, non scalabile, che passa per la ri-generazione dei beni comuni e delle piccole comunità, producendo così un’impatto diverso da quello verticale: un impatto sistemico (collective impact) dove il risultato non è una semplice sommatoria di benefici, bensì una produttoria.
Un’innovazione di rottura che consiste nel legare il valore alle persone e ai luoghi in cui questo “surplus” viene prodotto.
Un esempio ci viene dal Consiglio Comunale di New York che ha stanziato 1,2 milioni dollari per sostenere le cooperative di lavoratori, producendo un impatto significativo in termini di occupazione e lotta alla povertà (da gennaio 2014 le coop sono passate da 23 a oltre 300). Alla domanda fatta ad uno dei lavoratori coinvolti su quale fosse il successo di questa innovazione, la risposta è stata: “There is no greater medicine for apathy and feelings of living on the edges of society than to see your own work and your voice make a difference“.