Presentato “Lo stato della popolazione nel mondo 2014” dell’Onu. Adolescenti e giovani sono un problema insormontabile? Non è detto.

di Luca Aterini

Oggi l’8% della popolazione mondiale stringe nelle sue mani l’82% della ricchezza globale, come risultato di un trend di crescente disuguaglianza che sta continuando da 20 anni a questa parte. Non si tratta di un fenomeno che riguarda solamente i paesi più svantaggiati, ma si fa anzi pressante nel mondo occidentale: metà della popolazione mondiale più povera si concentra infatti nei paesi più ricchi (tra i quali il nostro). Ma le cose possono ancora cambiare, e le speranze maggiori per il futuro sono – ovviamente – riposte nei giovani.

Visto con occhi italiani il mondo è posto in declino, pieno di incertezze e paure, e una delle poche cose rimaste a crescere sono gli anziani. Eppure, mai prima nella storia ci sono stati così tanti giovani tra i 10 e i 24 anni, tutti insieme ad abitare il pianeta: sono 1 miliardo e 800 milioni, su una popolazione mondiale di 7,3 miliardi di persone. Non sono per niente pochi, e nove su dieci vivono nei paesi in via di sviluppo, dove affrontano vari ostacoli per realizzare i loro diritti all’educazione, alla salute, ed a vivere una vita libera da violenze. Secondo l’associazione italiana Aidos, che presenta il rapporto Unfpa Lo stato della popolazione nel mondo 2014 si stima che 57 milioni di giovani non vadano a scuola. Quali sono le possibilità per la nostra società di raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile e inclusivo senza che queste giovani speranze siano protette, istruite, vengano garantiti loro diritti individuali? Secondo l’analisi del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ben poche. Questa sfida ci riguarda da vicino, e non chiamarci fuori.

In Italia in particolare, dove su 61,1 milioni di abitanti solo 8,9 (il 15%) rientra nella fascia d’età 10-24 anni – e dove il tasso di fertilità è fermo a 1,5, abbondantemente al di sotto di quello di sostituzione – questa lotta si gioca su due diversi fronti. Quello interno ci vede sprecare una risorsa sempre più scarsa e (dunque) preziosa, i giovani italiani: il loro tasso di disoccupazione è in aumento, quello che misura la presenza di Neet pure, e non ne valorizziamo le competenze. Anche quello esterno ci vede in sofferenza, come testimonia il rapporto burrascoso che abbiamo coi migranti stranieri – molti dei quali giovani – che arrivano sulle nostre coste e entro i nostri confini.

Di questo miliardo e 800 milioni di giovani è facile vedere i lati negativi. Dopotutto, si tratta di bocche in più da sfamare, di consumi energetici e non da soddisfare, di lavori da creare. Ma «il rapporto di Unfpa che presentiamo oggi – dichiara Daniela Colombo, presidente di Aidos – è di segno opposto. Non considera adolescenti e giovani come un problema insormontabile, come un salasso di risorse già insufficienti, ma guarda al miliardo e 800 milioni di adolescenti e giovani che oggi vivono sul pianeta (un quarto della popolazione totale) e ai 120 milioni che si presentano ogni anno sul mercato del lavoro, quasi con ottimismo, dicendoci che la popolazione giovane più numerosa della storia può incidere in modo profondo su tutti gli aspetti del nostro comune futuro e ha la potenzialità di creare un mondo migliore per tutti. I paesi che riusciranno a rispondere alle esigenze di adolescenti e giovani si troveranno nella posizione più favorevole, nella seconda metà del secolo, con una popolazione più istruita e più sana, una maggiore forza lavoro produttiva, economie in crescita e tassi di fecondità in diminuzione».

Si tratta, in buona sostanza, di riuscire a cogliere le opportunità di quello che viene chiamato dividendo demografico: il potenziale di crescita economica (che può impiegare anche cinquant’anni per dispiegaresi completamente) derivante dallo spostamento della struttura demografica della popolazione, o per meglio dire quando la fascia di popolazione in età da lavoro (15-64 anni) è più ampia delle altre. «Un potenziale che può essere enorme – sottolineano dall’Unfpa – ma che senza un solido framework economico e politico non può realizzarsi». Il primo passo da compiere è quello di percorrere la transizione demografica, ovvero passare da alti a bassi livelli di natalità e di mortalità, espandendo l’accessibilità ai contraccettivi e migliorando la condizione femminile. Investire in capitale umano e migliorare l’accesso al sistema finanziario (come prerogativa per lo sviluppo economico e di nuovi posti di lavoro) è il passo complementare da compiere.

In questo processo il ruolo dei paesi sviluppati, Italia in primis, è tutt’altro che marginale – nel bene e nel male. Le nostre società stanno invecchiando, e il supporto di giovani forze ci è necessario. Se queste verranno indirizzate e guidate si potranno cercare vie di sviluppo condiviso, le uniche potranno permetterci di vederci sfilare via il futuro dalle dita.

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