A Milano un importante convegno promosso da Libera e Fondazione Unicredit. (http://www.labsus.org/2014/11/impresa-sociale-e-con-i-beni-confiscati-alle-mafie-si-puo/)

Elena Taverna

Miliardario il suo valore economico, inestimabile quello simbolico: il patrimonio dei beni confiscati alle mafie e il suo riutilizzo a scopi sociali è oggetto di un dibattito a dir poco rilevante per il nostro Paese. Il convegno, promosso dalla Fondazione Unicredit in collaborazione con Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, si è tenuto a Milano lo scorso 7 novembre presso l’Unicredit Tower Hall.

La restituzione, materiale e simbolica a un tempo, di un bene che era stato sottratto alla comunità dei cittadini.

Il Presidente di Unicredit Giuseppe Vita introduce i lavori ricordando le sue origini siciliane, in quel piccolo paese della provincia di Agrigento, Favara, che arrivò ad essere evocato su un quotidiano tedesco come un paese in cui “nessun uomo moriva più di morte naturale”. Vita ripercorre allora l’iter che portò alla legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, risultato di una storica campagna di raccolta firme da parte di Libera e di Don Luigi Ciotti, cui saranno affidate le conclusioni della giornata. Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato, prosegue presentando la norma sull’uso sociale dei beni confiscati come un modello, che rende possibile il rinsaldamento di quel rapporto fiduciario tra cittadini e istituzioni che la criminalità organizzata inesorabilmente corrode. Le realtà produttive nate nei territori liberati dalle mafie, in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania, costituiscono “la miglior bandiera della legalità”, suggeriscono “buone pratiche, che devono orientarci nella scelta di modelli virtuosi”.

Ma la ricchezza di questi beni non interessa solo il Meridione: tra le prime sei regioni troviamo anche Emilia Romagna e Lombardia, dove ben 223 sono ad oggi le aziende confiscate, 161 nella sola Milano. Impossibile non vedere la grande opportunità che si cela dietro un loro riutilizzo a scopi sociali: quella di instaurare finalmente un circolo virtuoso, quanto mai necessario nel nostro Paese, tra il presidio della legalità, la valorizzazione produttiva ed occupazionale dei territori interessati, il sostegno a iniziative di imprenditoria giovanile, la restituzione, materiale e simbolica a un tempo, di un bene che era stato sottratto alla comunità dei cittadini. La strada non è certo facile, ricorda il Presidente della Fondazione Unicredit, Maurizio Carrara: “La mafia tenta di condizionarti”, e lo fa in tanti modi, anche distruggendo materialmente tutto quello che si era costruito con passione e fatica, come nel caso del Villaggio della legalità Serafino Famà, ripetutamente danneggiato a scopo intimidatorio. Avere la preparazione adeguata per gestire questi beni diventa imprescindibile: l’impresa sociale non ha bisogno solo di finanziamenti, ma anche di investimenti nella formazione di personale competente e qualificato.


Puntare sul Made in Italy, quello vero

Numerosi i contributi alla Tavola Rotonda della mattinata, moderata dalla giornalista de Il Sole 24 Ore Serena Uccello. Nando Dalla Chiesa, Presidente del Comitato Antimafia del Comune di Milano, sottolinea il “meccanismo moltiplicatore della legalità”, che è insieme memoria delle vittime, creazione di opportunità, tutela dell’ambiente, rottura dell’isolamento. Critiche all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e l’assegnazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie sono mosse invece da Giuseppe Carrozza, Direttore del Consorzio Terre del Sole Reggio Calabria, per la lentezza dei meccanismi burocratici e la sostanziale inefficienza. Valentina Fiore, Amministratore Delegato del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, sottolinea le possibilità di sviluppo professionale, parallele alla scelta di campo etica, per chi lavora in queste realtà, mentre Giovanni Puglisi, Presidente della Fondazione Sicilia, insiste sul necessario “cambio di mentalità”, contro la perversa, quanto diffusa, cultura del “ci penso io”, come unica speranza per il futuro del nostro Paese. Seguono le considerazioni di Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole e Forestali e di Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia.

Lucide e appassionate le conclusioni di Don Luigi Ciotti: “Noi di Libera non siamo volontari, ma cittadini responsabili. E il vero problema dell’Italia non sono i poteri illegali, ma quelli legali che si muovono illegalmente”, quei poteri forti e corrotti che usano strumentalmente la bandiera dell’anti-mafia, con l’odiosa retorica “fatta di parole che ci hanno rubato”. Ciotti illustra allora la rilevanza della campagna di Libera “Impresa bene comune”, che si propone di coinvolgere il sistema imprenditoriale sano del nostro Paese, il vero Made in Italy, in un grande progetto di responsabilità sociale: “condividere le esperienze imprenditoriali di successo e metterle al servizio del recupero, della salvaguardia e della valorizzazione delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, a beneficio dello sviluppo economico, della legalità e della tutela del lavoro”.

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