Intervista ad A di Città. Accesso, partecipazione, rappresentazione non sono formule vuote con cui indicare la via maestra della democratizzazione della cultura, come fossero delle ricette magiche di sicuro effetto o un dogma assunto acriticamente che garantisca la salvezza della buona azione culturale. Eppure, è sempre più chiaro che la vita culturale di un territorio passa necessariamente da modalità che tengono conto dei pubblici e della cittadinanza, riconoscendoli come interlocutori attivi. (
http://www.doppiozero.com/materiali/chefare/di-citta-un-progetto-di-rigenerazione-urbana)
Lucia Zanetta
Nell'ultima edizione di cheFare abbiamo ricevuto un numero straordinario di progettualità forti e consapevoli legate alla rinascita di spazi urbani e rurali grazie a processi partecipativi di varia natura. La stessa effervescenza è evidenziata dal rapporto Symbola “Io sono cultura” sullo stato dell'economia della cultura in Italia, nel quale un intero capitolo è dedicato alle formule “dal basso” di rigenerazione urbana. E non è un caso se in questi mesi di grande attivismo nei circoli dell'innovazione culturale continuiamo a incontrare molti dei protagonisti di questa scena nascente: Spazio Grisù, il Teatro Verdi o il Mercato Coperto di Ferrara; Nova di Santo Stefano di Magra; i progetti di Dolomiti Contemporanee; Farm Cultural Park a Favara; ExFadda a San Vito dei Normanni; la rete Di Casa in Casa che riunisce le Case del Quartiere di Torino (e che ha vinto la seconda edizione del nostro premio).
Quali sono le ragioni che muovono questa ondata?
Sicuramente ci sono ragioni legate alle peculiarità dei territori italiani, segnati da un lato dallo spopolamento progressivo di molti piccoli centri rurali e dall'altro dalla difficoltà (peraltro comune a tutti i paesi europei) di trovare nuove destinazioni per i cadaveri di cemento che la de-industrializzazione si è lasciata dietro. Allo stesso tempo, gli spazi riattivati stanno divenendo centri pulsanti per le pratiche d'innovazione culturale,
http://www.doppiozero.com/materiali/quinto-stato/classe-cognitiva.
Quest'anno tra i 40 progetti selezionati c'era A di Città, un progetto ambizioso di rigenerazione urbana partecipata, basato sulla condivisione e il coinvolgimento dei cittadini. Non ha vinto il premio di 100.000 euro, ma si è messo in mostra per un alto grado di sviluppo potenziale. È per questo che i nostri partner di Fondazione Fitzcarraldo hanno deciso di assegnare loro una borsa di studio per il CRPC – il Corso di Perfezionamento per Responsabili di Progetti culturali – al fine di rafforzare ulteriormente la progettualità espressa e le competenze del gruppo di lavoro. È quindi con grande piacere che proponiamo ai nostri lettori l'intervista di Fondazione Fitzcarraldo ad A di Città.
Ci raccontate che cos’è A di Città e come è nato il progetto?
A di Città è un progetto di Rigenerazione urbana, economica e sociale che trasforma i quartieri in cui opera in Case-Laboratorio dove si sperimentano nuove forme di cittadinanza attiva unendo partecipazione e cultura.
Il progetto prende forma tra Ferrara, Bordeaux e Rosarno tra il 2011 e il 2012 dall’idea di giovani studenti e professionisti provenienti da tutta Italia. L'esigenza di lavorare nella città di Rosarno nasce dopo le rivolte degli africani e gli scontri del gennaio 2010, legati alle condizioni del lavoro stagionale nella raccolta degli agrumi, cardine dell'economia del territorio, gravato da una crisi pluriennale. La necessità è quella di avvicinare istituzioni e popolazione, cittadini stranieri e italiani, riparlare di città e di cittadinanza attraverso un nuovo modo di fare cultura, mettere a sistema le varie competenze del territorio e altre realtà italiane e straniere, lavorando con i temi dell'Arte, dell'Architettura, dell'Ambiente e dell'Agricoltura, per arrivare a risultati tangibili in poco tempo.
Da chi è composto il gruppo di lavoro e quali sono stati i vostri percorsi formativi e professionali? Avevate già lavorato insieme precedentemente o vi siate riuniti appositamente per dare vita a questo progetto?
Il team organizzativo e gruppo di ricerca è composto da 6 giovani professionisti, per la maggior parte provenienti da studi in architettura e paesaggio, con esperienze di organizzazione di eventi culturali. Il gruppo si avvale della collaborazione di artisti, collettivi, docenti e ricercatori provenienti da tutta Italia. Tutte le persone che ora lavorano per A di Città si sono conosciute sul campo, a Rosarno nei primi due anni del festival della rigenerazione e attraverso gli incontri e i laboratori organizzati nelle scuole e nelle sedi di associazioni italiane che lavorano sui temi della partecipazione e dell'innovazione sociale.
Ci ha unito la passione per lo spazio pubblico e la scommessa che Rosarno, come paradigma di altri centri del sud e della provincia italiana, possa trasformarsi in un laboratorio di nuove forme di partecipazione e di democrazia urbana.
Potete spiegarci come sono organizzate le attività di lavoro e come hanno risposto i cittadini, gli studenti e l'amministrazione?
A di Città va avanti grazie al lavoro di tanti volontari e di un gruppo operativo che crede nelle potenzialità dei cittadini e dei luoghi “invisibili”. Abbiamo sperimentato che l'arte e l'architettura nello spazio pubblico, se solo si evitano i linguaggi caratteristici dei festival di street art e di workshop di progettazione, permette di coinvolgere facilmente i cittadini, dai bambini ai più anziani, che “adottano” gli interventi di riqualificazione e iniziano a guardare con maggiore consapevolezza al loro ruolo nella città e alle risorse dei loro luoghi. I due festival e i vari eventi organizzati durante i primi anni di attività sono stati delle vere e proprie feste in cui studenti, artisti, cittadini e amministratori si sono confrontati, conosciuti e hanno intessuto reti lunghe di comunità. L'energia sprigionata dall'incontro e dallo scambio è sintetizzabile nelle parole che ci hanno detto gli abitanti dopo l'intervento: grazie, “perché ora sappiamo di essere un quartiere!”.
Che significato date alla rigenerazione urbana? Cosa la caratterizza rispetto ad altri tipi di progettazione e come la traducete in azioni concrete?
Ci siamo interrogati spesso sul significato di rigenerazione. Questi anni di esperienza ci hanno convinto che rigenerazione significa riscoprire le potenzialità che hanno i territori e la loro grammatica, capire come utilizzare i linguaggi che il territorio ti suggerisce e reinterpretarli con esperienze innovative durature e che coinvolgano tutti i settori della società, nessuno escluso. Per fare rigenerazione è indispensabile studiare a fondo le realtà che si incontrano, ponendosi non come dei “salvatori” (problema spesso riscontrato in altre esperienze) ma come interpreti delle “scintille” presenti in un territorio. La rigenerazione è per noi la sintesi migliore tra politiche urbane, politiche giovanili e programmazione culturale. A di Città, collaborando a stretto contatto con associazioni e amministratori, ha fatto emergere le difficoltà e le debolezze presenti nelle politiche locali e ha ideato gli strumenti per attivare percorsi di partecipazione e di condivisione delle buone pratiche (ad ogni scala territoriale). La peculiarità del progetto è stata l'aver fatto incontrare i diversi attori del territorio e aver fatto maturare il senso civico dei cittadini che hanno iniziato a prendersi cura dei luoghi riqualificati. Secondo la nostra idea di rigenerazione, i risultati fino ad ora ottenuti non sono sufficienti: bisogna realizzare dei presidi di innovazione e coesione socio-culturale nei quartieri, attrarre finanziamenti pubblici e privati per la riqualificazione fisica dei luoghi, creare un micro-credito che sostenga le conoscenze locali e le metta in rete con esperienze internazionali.
A di Città è stato uno dei progetti finalisti del bando CheFare: cosa avete portato a casa da questa esperienza?
L'avventura a cheFare è stata sensazionale. Nei mesi di raccolta voti abbiamo migliorato i nostri mezzi di comunicazione e sperimentato con forme nuove la promozione del nostro progetto, abbiamo conosciuto tante realtà italiane che parlano i nostri stessi linguaggi, siamo diventati più maturi e consapevoli delle nostre capacità e debolezze. Come non parlare, inoltre, dei compagni di viaggio che abbiamo conosciuto a Milano durante gli ultimi momenti del concorso? L'Italia esprime delle bellissime energie che sanno dialogare e confrontarsi con franchezza ed entusiasmo.
Quali sono le sfide che vi attendono ora per mantenere in vita e far crescere A di Città?
Per quanto riguarda il futuro dei componenti del gruppo operativo, sentiamo l'esigenza di trasformare l'impegno e la ricerca di questi anni da lavoro associativo a professione a tutto tondo che dia valore al tempo impiegato e la certezza delle nostre responsabilità.
A di Città, non dimenticando i valori e le esperienze fatte fino ad ora, riuscirà a lavorare e a crescere solo rafforzando l'esperienza a Rosarno (“progetto di comunità” nei quartieri del Festival) e attivando progetti in altre realtà (come sta succedendo in questi mesi sul Reventino e a Lamezia Terme e in alcune scuole italiane).
Il futuro di A di Città è legato al successo di queste esperienze e alla nostra capacità di consolidare i rapporti con il territorio e i suoi stakeholders, di attrarre finanziamenti e di continuare con la sperimentazione in campo sociale, urbano e culturale.
Quali sono i punti di forza della vostra progettualità?
Innanzitutto la capacità di coinvolgimento delle comunità locali e di professionalità del mondo accademico, dell'arte e della partecipazione nella progettazione a Rosarno. Altro fattore da tenere in considerazione è la sperimentazione nel campo dell'innovazione sociale con progetti che mettono insieme cultura, recupero degli spazi pubblici e progettazione partecipata. Infine l'incontro e lo scambio tra saperi locali e professionalità esterne per un proficuo scambio di competenze, la circolazione del sapere e un incremento del patrimonio artistico, professionale e culturale del territorio.
Tentando di volgere uno sguardo critico al vostro operato e a quanto avete fatto, su quali elementi sentite la necessità di lavorare per migliorare il progetto?
Gli elementi principali che hanno funzionato poco riguardano la struttura organizzativa che ci siamo dati, il nostro affidamento a strutture economiche non stabili e la mancata sintesi delle energie disponibili con la progettazione di eventi.
Come vi piace immaginare A di Città nel prossimo futuro? Come può crescere ulteriormente e con quali soggetti vi interesserebbe collaborare?
Ci piace immaginare A di Città s sempre più stretto contatto con diversi territori che iniziano a fare rete (network di case di quartiere, scambio di competenze) e come un gruppo di lavoro che sappia unire azione e ricerca: organizzazione di eventi e riqualificazione degli spazi pubblici ma anche ricerca nel campo della rigenerazione e della partecipazione, collaborando con fondazioni, associazioni e amministrazioni pubbliche
Voi e il vostro progetto siete stati selezionati per partecipare con una borsa di studio al CRPC: cosa vi aspettate da questa esperienza? Quali competenze sentite l’esigenza di rafforzare, acquisire e sviluppare?
Immaginiamo l'esperienza del CRPC come un momento in cui rafforzare ed estendere i legami con realtà nazionali ed internazionali che operano nel campo culturale e nella sperimentazione di nuovi linguaggi in ambito urbano. Le attività del corso saranno per noi l'occasione di migliorare gli aspetti legati alla struttura organizzativa, al fundraising e acquisire nuovi strumenti per la comunicazione e la promozione del progetto. Sarà un'occasione unica che condivideremo con l'intero gruppo, sempre più sparso per l'Italia, e che ci farà crescere ulteriormente ricordando sempre da dove e come siamo partiti.
Grazie ai ragazzi di A di Città e in bocca al lupo per tutto il percorso: che possiate essere sempre interpreti delle “scintille” presenti nel territorio!