La crisi morde i minori dei Paesi ricchi: sono 76 milioni quelli in sofferenza. Nel nostro Paese il 16% è in grave deprivazione materiale. Neet il 22,2% dei ragazzi.
Secondo il rapporto
“Figli della recessione: l’impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei paesi ricchi”, pubblicato dall’Unicef, «dal 2008, 2,6 milioni di bambini che vivono nei Paesi ad alto reddito sono scivolati sotto la soglia di povertà. Si stima che oggi i minori che vivono in povertà nel mondo sviluppato siano saliti a 76,5 milioni». Un grande passo indietro nelle politiche sociali. L’Innocenti Report Card 12 classifica i 41 Paesi Ocse ed Ue in base all’andamento dei livelli di povertà infantile dal 2008, rileva la quota di giovani Not in Education, Employment or Training (Neet) e include anche i dati del Gallup World Poll sulla percezione che i singoli individui hanno della loro condizione economica e sulle speranze per il futuro da quando è iniziata la recessione.
Per quanto riguarda il nostro Paese, il presidente dell’Unicef Italia, Giacomo Guerrera, dice che «in Italia 1 bambino su 3 vive in povertà, con oltre 600.000 bambini poveri in più rispetto al 2008. Inoltre, dal 2008 al 2012 l’Italia ha registrato una riduzione del reddito dei nuclei familiari perdendo 8 anni di potenziali progressi economici. «Il 16% dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale. In Italia, la percentuale di ragazzi tra 15 e 24 anni che non studia, non lavora e non segue corsi di formazione è aumentata di quasi 6 punti dal 2008, raggiungendo il 22,2%. È il tasso più alto dell’Unione Europea, significa che oltre un milione di giovani vivono in questo limbo».
Il rapporto Unicef potrebbe essere riassunto in «ricchi e divisi», ma non tutti i Paesi dell’Ocse/Ue sono nella stessa situazioni in alcuni la povertà minorile cresce d in altri si riduce: dal 2008, in 23 Stati la povertà infantile è aumentata. «In Irlanda, Croazia, Lettonia, Grecia e Islanda i tassi di povertà infantile sono aumentati di oltre il 50% nel breve periodo preso in considerazione – sottolinea il rapporto – Nel 2012 in Grecia il reddito medio dei nuclei familiari con bambini è ritornato ai livelli del 1998 – l’equivalente di una perdita di 14 anni di progresso in termini di reddito. Secondo questa rilevazione l’Irlanda, il Lussemburgo e la Spagna hanno perso un decennio, l’Islanda ha vanificato 9 anni e l’Italia, l’Ungheria e il Portogallo ne hanno persi 8».
Ad essere più colpiti dalla recessione sono stati soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni, con i “neet” in crescita drammatica in molti Paesi: «Nell’Unione Europea, nel 2013, 7,5 milioni di giovani erano classificati come Neet, quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera». Non va certamente meglio negli Stati Uniti dove la povertà infantile estrema è aumentata più durante questa recessione che in quella del 1982, anche se le misure per una rete di sicurezza sociale volute da Barack Obama «hanno garantito un sostegno importante alle famiglie lavoratrici povere, ma sono state meno efficaci per i poveri senza lavoro. Dall’inizio della crisi la povertà infantile è aumentata in 34 Stati dell’Unione su 50. Nel 2012, 24,2 milioni di bambini americani vivevano in povertà, con un incremento netto di 1,7 milioni dal 2008»
Invece, in 18 dei Paesi presi in esame la povertà infantile è diminuita, a volta in modo marcato, come in Australia, Cile, Finlandia, Norvegia, Polonia,Slovacchia che «hanno ridotto i livelli di povertà infantile di circa il 30%».
La povertà dei minori è il frutto di scelte politiche e l’Unicef evidenzia: «Mentre all’inizio della crisi i programmi di incentivi in alcuni Paesi sono stati efficaci per proteggere i bambini dai peggiori effetti della recessione, a partire dal 2010 gran parte degli Stati hanno capovolto i loro bilanci, passando da politiche espansive a drastici tagli, con un impatto negativo su infanzia e adolescenza, soprattutto nella regione del Mediterraneo».
Jeffrey O’Malley, Direttore della divisione statistiche, ricerche e analisi dell’Unicef, conclude: «Molti Paesi ricchi hanno compiuto un “grande passo indietro” in termini di reddito, con ripercussioni a lungo termine per i bambini, per le famiglie e per le comunità. La ricerca dell’Unicef mostra che la forza delle politiche di protezione sociale sarebbe stata un fattore decisivo per prevenire la povertà. Tutti i paesi hanno bisogno di forti reti di sicurezza sociale per la protezione dei bambini sia durante congiunture negative sia positive, e i Paesi ricchi dovrebbero fare da esempio impegnandosi esplicitamente per eliminare la povertà infantile, sviluppando politiche per controbilanciare la regressione e facendo del benessere infantile la prima priorità. Il rapporto mette in evidenza, e lo fa in modo significativo, che le risposte di politica sociale dei paesi con condizioni economiche simili sono cambiate sensibilmente, con impatti diversi sui bambini».
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