È davvero possibile tagliare la spesa sanitaria senza compromettere i servizi erogati ai cittadini? Negli ultimi anni si è fatto ricorso a diversi strumenti, ma sono mancate le azioni strutturali e la capacità di investire sui processi di cambiamento e le competenze dei funzionari pubblici. (http://www.lavoce.info/sanita-tagliare-spesa-esercizio-complesso/)

Niccolò Cusumano


I 3 MILIARDI CHIESTI ALLA SANITÀ

Archiviata la stagione della spending review, si è tornati per un attimo al più tradizionale appuntamento dei tagli autunnali, in particolare quelli alla sanità. Il tema sembra essere stato momentaneamente archiviato dall’aggiornamento del Documento di economia e finanza presentato il 30 settembre dal Governo, ma la domanda se sia possibile comprimere la spesa senza compromettere i servizi resta.

Il contributo richiesto al settore dai tecnici di via XX Settembre era stato quantificato in circa 3 dei quasi 110 miliardi a disposizione del sistema sanitario nazionale. A prima vista, il 3 per cento non sembra essere un grande sacrificio. Tuttavia, come si può osservare dal grafico, escludendo le voci “servizi sanitari” e “personale”, il perimetro di spesa “immediatamente” aggredibile si restringe a circa 30 miliardi di euro. Sono forniture e servizi che vanno dai farmaci ai materiali diagnostici, ai camici per medici, ai servizi di pulizia, mensa, calore e manutenzioni. Recuperare 3 miliardi, in questo caso, equivarrebbe a un taglio di quasi il 10 per cento.

QUANTO ABBIAMO RISPARMIATO FINORA?

Le soluzioni adottate nel recente passato sono state di tre ordini 1) centralizzazione degli acquisti; 2) adozione di costi standard 3) possibilità di rinegoziare i contratti.

La centralizzazione, cioè la concentrazione in capo a una Asl/Ao capofila o a un ente dedicato (cosiddetta centrale d’acquisti) della funzione acquisti, punta a sfruttare il potere di mercato del pubblico (grandi contratti = migliori condizioni/sconti) e a cercare economie di scala nella gestione di acquisti e di specializzazione del personale. Nonostante si tratti di mercati complessi, i provveditori economi sono chiamati, infatti, ad acquistare dai farmaci alle alte tecnologie, ed è difficile pensare che possano essere perfettamente preparati su tutto. Enti aggregatori della spesa potrebbero invece dotarsi di personale specializzato.

Non tutte le spese sono però centralizzabili. La centralizzazione presuppone la standardizzazione dei fabbisogni e dei processi di consumo. Forniture standard, come i farmaci, sono facilmente aggregabili. Lo stesso discorso applicato ai servizi, anche quelli all’apparenza più semplici come le pulizie, le cui specifiche (e costi) dipendono dal contesto in cui si svolgono, appare molto più complicato. La quantificazione dei risparmi effettivamente conseguiti, valutati da Consip in 4,6 miliardi di euro nel 2013, dovrebbe essere oggetto di un serio dibattito. Innanzitutto, fanno riferimento al prezzo unitario di aggiudicazione, quindi non al costo finale di erogazione della prestazione.

In secondo luogo, sul medio periodo la riduzione dei prezzi è asintotica (altrimenti avremmo prezzi uguali a zero).

In terzo luogo, finora la centralizzazione è stata limitata alle sole procedure di gara e non alla razionalizzazione della spesa e dei processi produttivi. La seconda linea di azione si ricollega alla prima. La definizione di costi standard richiede una classificazione univoca degli oggetti d’acquisto, dei contratti di fornitura (e quindi dei prezzi di acquisto) e dei processi produttivi con cui questi beni sono utilizzati per l’erogazione del servizio. In questo senso i prezzi standard dovrebbero essere intesi solo ed esclusivamente come dei benchmark, punti di riferimento su cui confrontarsi, e non un requisito formale stabilito ex lege.

Il terzo ambito d’azione era stato introdotto dal Governo Monti con l’articolo 15 comma 13 del Dl 95/2012, che aveva concesso la possibilità di rinegoziare unilateralmente i contratti applicando uno sconto del 5 per cento. I risultati sono stati scarsi in termini di risparmio e notevoli in termini di contenzioso amministrativo tra fornitori e aziende sanitarie, con sentenze favorevoli spesso ai primi. Rivedere la spesa non è un’attività “emergenziale”, ma implica intervenire (“passo dopo passo”) sui processi di acquisto e soprattutto sui processi “produttivi”. Occorre adottare azioni di sistema, politiche strutturali di ampio respiro, che fissino obiettivi chiari, dando allo stesso certezza di risorse e di regole.

Niccolò Cusumano. Collaboratore presso SDA Bocconi e Junior Research Fellow presso IEFE (Centro di Ricerca per l’Energia e l’Ambiente) dell’Università Bocconi dal 2012 è impegnato nel dottorato in Management of Innovation Sustainability and Healthcare presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Dal 2014 è entrato a far parte dell’Impact Investing Lab di SDA Bocconi. Oltre alle attività di ricerca sui temi degli appalti pubblici, politiche di promozione delle energie rinnovabili, partnership pubblico-privato, svolge infine attività di docenza in corsi a catalogo sugli acquisti pubblici e master.

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