Gabriele Nissim al Festival Jewish and the City. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell'intervento che Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, ha tenuto all'incontro "La sfida dell'uomo giusto. Il viaggio verso la libertà" nell'ambito del Festival Jewish and the City. L'appuntamento, al quale è intervenuto anche Rav Paolo Sciunnach, si è svolto al Memoriale della Shoah di Milano, martedì 16 settembre, giornata conclusiva della rassegna dedicata alla cultura ebraica. (
http://www.gariwo.net/pagina.php?id=11444)
C’è un detto ebraico molto famoso che dice: chi salva una vita salva il mondo intero. È un concetto importante perché significa che una vita vale come un mondo e ricorda il principio fondamentale di non uccidere: la sacralità della vita umana. Qualsiasi azione umana che porta all’omicidio di un altro uomo è una sconfitta. Dunque chi salva una vita salva il mondo per certi versi.
Introdurrei però una variabile: chi salva una vita non agisce pensando di potere cambiare il mondo. Lo fa indipendentemente dall’idea che il mondo possa essere cambiato. Lo fa unicamente perché è giusto e perché non si sentirebbe bene con se stesso. La maggior parte degli uomini giusti ha agito salvando vite ebraiche o salvando vite in Rwanda o in altre situazioni, non pensando di sconfiggere il male o di cambiare la storia, ma soltanto per il bisogno di andare in soccorso all’altro uomo. Penso ai capi dello Judenrat di Kosow Huculski, nei Carpazi, che si consegnarono ai nazisti per salvare per qualche giorno la vita degli altri ebrei che si erano nascosti, pur sapendo che alla fine sarebbero morti tutti.
Agirono senza speranza, ma agirono lo stesso.
Se un uomo dovesse agire soltanto sapendo di cambiare il mondo non farebbe niente e starebbe ad aspettare. Il giusto è l’uomo che si assume una responsabilità comunque. Non dice solamente: io non faccio agli altri quello che non vorrei fosse fatto a me, ma dice anche: faccio agli altri quello che vorrei venisse fatto a me.
Non si astiene dal fare il male, ma agisce facendo il bene verso l’altro uomo.
C’è un pensiero degli stoici che calza a pennello. Non puoi andare contro un destino più grande di te, ma in quel destino ci puoi mettere il tuo carattere. E pensiamo a Kant quando dice di trattare l’altro uomo come un fine e non come un mezzo.
Perché dico che i giusti non cambiano il mondo, ma leniscono le ferite?Perché ricadrebbe su di loro un peso troppo grande, perché di fronte a certe sfide del male ci vuole anche la politica e un progetto generale. Per lottare contro i genocidi, ci vogliono degli strumenti internazionali. Ci vuole l’impegno degli Stati. Vedi la convenzione sulla prevenzione dei genocidi. Se vogliamo sconfiggere l’Isis - dice Massimo Cacciari - ci vuole un progetto politico: affidarsi ai curdi, fare un compromesso con l’Iran, avere una idea del futuro in Medio Oriente. Ma in questo vuoto sono importanti i curdi che salvano vite umane, come ha scritto Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera.
La stessa cosa vale per la soluzione del conflitto israelo-palestinese : ci vogliono uomini come Rabin, come Sadat, che hanno una visione politica e rischiano per il compromesso territoriale. Ma in questo vuoto dobbiamo ringraziare personaggi come Yair Auron, Abraham Burg, come Amira Hass, come Gideon Levy che in Israele raccontano il dolore dei palestinesi andando contro corrente. E come non ricordare il professore palestinese Mohammed S. Dajani Daoudidi Ramallah che ha portato i suoi studenti ad Auschwitz e ha perso il suo posto all’università, o anche l’arabo di Nazareth che negli anni scorsi ha costruito un piccolo museo della Shoah per raccontare la tragedia degli ebrei ai palestinesi?
I giusti fanno sentire la loro voce nei momenti più bui, quando esiste un vuoto di prospettiva; ma direi anche che sono uno stimolo perché con il radicalismo dei loro atti ci richiamano sempre al valore della vita umana, che non vogliono svendere neppure nei momenti peggiori. Gli uomini giusti saranno sempre in conflitto con l’establishment e dobbiamo accettare questa contraddizione.Per questo motivo sono nascosti, come si dice nella Bibbia.
Agiscono nel vuoto degli uomini. [...]
Quando si parla di esodo si pensa a un percorso che porta alla libertà. Il popolo di Israele esce dall’Egitto e trova la terra promessa. Il viaggio dell’uomo giusto non porta da nessuna parte se noi abbiamo come parametro la gloria, la libertà, il raggiungimento di un bisogno materiale o anche di una felicità terrena. Il viaggio dell’uomo giusto porta soltanto all’isolamento, alla solitudine, perché egli si mette in contraddizione con il mondo. [...]
Se riconosciamo questo percorso nel deserto della solitudine dobbiamo trarne le conseguenze: gli uomini giusti non sono eroi perfetti, perché sono fragili come gli altri uomini. Dobbiamo quindi rispettare la loro fragilità e venire in loro soccorso. Prima di tutto ricordandoli come esempi morali. Ma anche accettare le loro contraddizioni. Invece cerchiamo sempre di metterli in dubbio, come è successo nei confronti di Giovanni Palatucci. Prima lo si è dipinto come un eroe a tutto tondo, poi ci si è accorti di tutte le sue manchevolezze. Naturalmente la cosa più importante sarebbe quella di venire in loro soccorso quando sono in vita o in azione. E invece li lasciamo soli, come è accaduto per anni verso i dissidenti sovietici, o in questi giorni nei confronti dell’opposizione siriana.
Noi dobbiamo salvare gli uomini giusti, perché hanno salvato noi.C’è una nuova categoria di uomini che è apparsa sulla storia e che ha arricchito il concetto di giusto.
È quella di chi si assume la responsabilità della colpa e agisce di conseguenza. Lo ha ricordato David Bidussa, parlando del discorso sull’antisemitismo della cancelliera tedesca Angela Merkel. [...]
Analisi di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti
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