«L'alfabetizzazione è uno degli elementi chiave per promuovere lo sviluppo sostenibile». Nello sguardo dell’Ocse l’eroica resistenza della scuola italiana. Ultimi per la percentuale della spesa pubblica in istruzione rispetto a quella complessiva.
di Luca Aterini
L’occhiata che l’Ocse rivolge ogni anno al mondo della scuola e dell’università in Italia con il suo Educational at glance,
aggiornato oggi al 2014, appare sempre più torva. Come certifica l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il nostro Paese detiene un poco gratificante record: «tra i 34 Paesi esaminati con dati disponibili, l’Italia è il solo che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastiche tra il 2000 e il 2011, ed è il Paese con la riduzione più marcata (5%) del volume degli investimenti pubblici tra il 2000 e il 2011».
Mentre nello stesso periodo la spesa pubblica media dell’Ocse destinata alle istituzioni del sistema d’istruzione è aumentata del 38%, in Italia è calata del 3%; al contempo, i finanziamenti arrivati da fonti private sono quasi raddoppiati.
Ma l’andamento della spesa pubblica nel corso del decennio analizzato non è stato uniforme: la strada dei tagli drastici è stata imboccata con l’arrivo della crisi, proprio quando la necessità degli investimenti in istruzione per garantirsi un futuro più roseo era più necessaria. «La spesa pubblica per l’istruzione in Italia – sottolinea l’Ocse – è diminuita più della spesa destinata all’insieme delle amministrazioni pubbliche tra il 2008 e il 2011. Nel 2008, l’istruzione rappresentava il 9,4% del totale della spesa pubblica, mentre nel 2011, l’8,6% della spesa pubblica complessiva era dedicato all’istruzione».
Nel 2011, la spesa per studente nella scuola primaria, secondaria e post secondaria non terziaria era inferiore del 4% rispetto al 1995. «Nell’insieme, la spesa pubblica e privata per studente è aumentata in termini reali tra il 1995 e il 2008 (+8%) prima di registrare una netta diminuzione tra il 2008 e il 2011 (-12%)». Il tutt’altro che invidiabile risultato è che, secondo gli ultimi dati disponibili, l’Italia si trova ultima in classifica (su 32 Paesi) per la percentuale della spesa pubblica in istruzione rispetto a quella complessiva.
Nonostante questi tagli, la qualità dell’istruzione di base è comunque aumentata in Italia: sia che si guardi all’abilità coi numeri sia all’alfabetizzazione (rispettivamente per i quindicenni e per gli adulti 25-34enni). A causa di scarsi investimenti in life long learning, cronici nel nostro Paese, tra i più “anziani” (a partire dai 35-44enni) non si registrano grandi performance.
Quel che più preoccupa non sono però gli impietosi dati sulla spesa per l’istruzione pubblica, quanto l’effetto che sortiscono tra i banchi di scuola. Là dove dovrebbe nascere la speranza di costruirsi un futuro in linea con le proprie aspettative, vive oggi la rassegnazione.
Testualmente, l’Ocse rileva che «con le sempre maggiori difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell’l’istruzione è diminuita». Le iscrizioni all’università sono in declino negli anni più recenti, mentre la percentuale « dei 15-29enni senza attività lavorativa e che sono usciti dal sistema d’istruzione o non sono iscritti a corsi di formazione – i cosiddetti Neet – Neither employed nor in education or training – è aumentata di oltre 5 punti percentuali tra il 2008 e il 2012 (dal 19,2% al 24,6%)».
La riforma del governo Renzi battezzata
La buona scuola riuscirà a invertire questa tendenza? Per dare una valutazione complessiva sul progetto, che è un cantiere aperto, è ancora troppo presto. È certo però che una riforma scolastica, per quanto ampia e condivisa, da sola non potrà racchiudere il necessario ricostituente della speranza. Per quello occorre intervenire sul passo successivo, il mondo del lavoro: senza la prospettiva di un’occupazione in grado di valorizzare le conoscenze (sperabilmente elevate) acquisite, un pur ottimo sistema scolastico è solo una strada spianata verso l’espatrio.
L’istruzione, invece, è un bene scarso che all’Italia immersa nella società della conoscenza serve come il pane per garantirsi un (buon) futuro. Non a caso la giornata di ieri, l’International Literacy Day 2014, è stata celebrata dall’Unesco in relazione allo sviluppo sostenibile.
«L’alfabetizzazione – riconosce l’Unesco – è uno degli elementi chiave per promuovere lo sviluppo sostenibile, in quanto consente alle persone di prendere le giuste decisioni in materia di crescita economica, di sviluppo sociale e d’integrazione ambientale. L’alfabetizzazione è una base per l’apprendimento permanente e svolge un ruolo fondamentale cruciale nella creazione di società sostenibili, prospere e pacifiche».
Per vivere una vita sostenibile le buone intenzioni non bastano: serve pensiero critico e capacità di comprendere cosa ci accade intorno. «Il mondo è un bel libro – per dirla con Carlo Goldoni – ma poco serve a chi non lo sa leggere».
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