Da settimane ogni giorno colpi di artiglieria o missili colpiscono la città ucraina di Donetsk. La città rimane sotto il controllo dei separatisti, circondati dalle forze di Kiev. In mezzo la popolazione che lotta per sopravvivere. (
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Danilo Elia
L’aeroporto di Donetsk era stato costruito appena due anni fa, per gli europei di calcio. Una struttura moderna, degna di una città europea con più di un milione di abitanti. Vetro e cemento, una lunga fila di banchi per i check-in, duty free e negozi. L’aeroporto internazionale di Donetsk è in rovina. Da settimane, ormai, ogni giorno colpi di artiglieria o missili non guidati colpiscono la città. “Io e mio marito dormiamo per terra”, dice Olena. “È l’unico modo per evitare che una scheggia entri dalla finestra e ci uccida nel sonno. Ma non serve a evitare che un missile centri il nostro appartamento”. Succede, è successo. Anche in centro, dove abita Olena.
La denuncia di HRW: l'uso di missili Grad è un crimine di guerra
Sia l’esercito ucraino che i separatisti possiedono lanciamissili Grad. Sono armi altamente imprecise, buone per un campo di battaglia, devastanti in zone abitate. Non hanno alcun sistema di guida e spesso sono composti da testate multiple, in modo da colpire a pioggia. Secondo dati riportati da
Human Rights Watch, il tipo più comune di Grad genera all’esplosione oltre 3mila frammenti. Una volta sparato, anche da 20 chilometri di distanza, ogni singolo missile può cadere ovunque in un’area di 54mila metri quadrati. In città equivale a svariati isolati, e una raffica è composta da 40 missili. Sempre secondo Hrw, usare questo tipo di arma in aree urbane è un crimine di guerra.
Le due parti si accusano a vicenda di sparare sulla città e sui civili. Sempre Hrw, in un rapporto diffuso alla fine di luglio, ha affermato che le indagini sui luoghi colpiti indicano come probabili responsabili le forze governative. C’è da dire che da luglio i bombardamenti si sono intensificati e non si può escludere che entrambe le parti facciano uso di artiglieria pesante e Grad sulla città. “Non sappiano chi ci spara addosso”, dice Olena. “Ma a giudicare dalla traiettoria dei colpi non credo che siano gli ucraini”. Intanto sembra ormai acclarato che i separatisti hanno la gran parte delle loro postazioni di artiglieria piazzate in pieno centro città.
Donetsk è una città sotto assedio
La morsa dell’Ato, l’Antiterroristiceskaja operatsja di Kiev in corso nelle regioni orientali, si è stretta sempre di più intorno a Donetsk, fino a toccarne la periferia. All’inizio di agosto il
battaglione Azov dell’esercito ucraino era riuscito a entrare nel sobborgo di Mariinka, a meno di una decina di chilometri dal centro, prima di dover fare dietrofront. I separatisti hanno abbandonato via via le loro postazioni chiudendosi sempre di più in città, portando le loro armi e i loro carri armati tra le abitazioni. Hanno trasformato Donetsk nella loro roccaforte. “Sarà una seconda Stalingrado”, aveva detto
Alexander Borodai, il “primo ministro” della Donetskaja respublika, DNR. Borodai si è dimesso e ha riparato a Mosca, ma in città restano migliaia di miliziani pronti a combattere fino all’ultimo.
Donetsk è una città sotto assedio. “Manca spesso l’acqua, e quando esce dai rubinetti è marrone”, dice Olena. I supermercati e i centri commerciali sono chiusi da mesi, ma in generale i negozi di alimentari continuano a vendere merce. I prezzi, però, continuano ad aumentare senza controllo. Dall’inizio della guerra sono cresciuti almeno del 50%. È il paradosso di una città in guerra senza accorgersene.
Donetsk è irriconoscibile. I locali affollati e i parchi pieni di mamme e bambini sono un ricordo così lontano che sembra impossibile siano passati solo pochi mesi.
L’ultima volta che l’ho visitata un’ombra nera già si addensava sulla città, un’angosciante attesa turbava la sua gente, i camerieri dei ristoranti non si affannavano come un tempo e nei centri commerciali le commesse potevano limarsi le unghie. Ora che qualcosa come 400mila persone su circa un milione di abitanti sono scappate, è un posto surreale. Non è un città fantasma, è una città che lotta per non morire. I larghi viali dell’urbanistica sovietica sono svuotati come letti di fiumi in secca, ma qualche auto sfreccia ancora, senza nemmeno rispettare il rosso, mentre pochi passanti camminano a gambe levate. Persino i mezzi pubblici continuano a funzionare. “Gli autobus girano con due o tre persone a bordo. Nessuno vuole stare anche un minuto in più del necessario in strada”. E ha ragione Olena. Se non è una scheggia di shrapnel o Grad a farti fuori c’è sempre il rischio di incrociare la strada di qualche miliziano che ha alzato il gomito.
I padroni della città
Non ci sono forze dell’ordine a Donetsk, se si escludono alcune auto riverniciate con le insegne della polizia della DNR, e gli uomini armati che scorrazzano per le strade si comportano come i padroni della città. Rubano, bevono, sparano. Terrorizzano la popolazione. All’inizio di agosto tre ribelli armati hanno sfasciato la loro macchina contro un hotel a cinque stelle lasciando due morti, e due settimane dopo è successo di nuovo. A terra c’erano pezzi d’auto e proiettili. Qualche giorno fa una donna sospettata di essere una spia ucraina è stata legata a un palo sotto la minaccia dei kalashnikov e lasciata al pubblico ludibrio prima che intervenissero altri ribelli a liberarla, ma di lei non si è saputo più niente.
“Con un sacco di gente in giro armata è ovvio che abbiamo problemi di sicurezza”, ha detto il “viceministro della Difesa” della DNR, Fjodor Berezin, che ha ora preso il posto di
Igor “Strelkov” Girgkin, ritiratosi in Russia. La verità è che Donetsk è in mano a bande armate che da mesi rapinano auto, saccheggiano negozi, rapiscono civili. Prima ci sono state le rapine delle auto di grossa cilindrata, poi sono venuti i saccheggi dei negozi. Già a maggio, avevano svuotato il fan store della squadra di hockey Donbass e dato fuoco allo stadio, poi è stata la volta dell’ipermercato Metro, e poi via via un po’ tutti i negozi. I bancomat sono stati disattivati perché presi d’assalto, le banche sono chiuse. Come se non bastasse, una paranoica paura delle spie ha preso il sopravvento tra la milizia. La caccia alle streghe ha raggiunto il colmo e basta andare in bicicletta per essere accusati di spiare le postazioni militari per riferirne la posizione al nemico. “Semplicemente, le strade sono pericolose”, dice Olena. “E allora qualche volta trasformiamo il rifugio del palazzo in una discoteca, mettiamo la musica, cerchiamo di non pensare a quello che succede su, in strada. Siamo ancora esseri umani, dobbiamo vivere”.