L'interessante lavoro di Giovanni Moro, edito da Laterza. Da poco presente sugli scaffali delle librerie italiane, “Contro il non profit” è un saggio che garantisce uno spunto alternativo alla visione mainstream del fenomeno del terzo settore. L’autore esce volutamente dallo schema dominante che ha fatto del non profit un magma indistinto, costantemente accompagnato dal fittizio beneplacito dell’opinione pubblica ed offre al lettore una chiave di lettura quanto mai interessante. (
http://www.labsus.org/2014/08/si-puo-essere-contro-il-non-profit/)
Francesco Gentili
Il non profit gode di quei parametri entro i quali la vita è più semplice, agevolata e orgogliosi di un pregiudizio consolidato che ne fa un fenomeno, sempre e comunque, positivo
Da Giovanni Moro, presidente emerito di Cittadinanzattiva, sarebbe stato difficile aspettarsi un attacco serrato nei confronti di non profit e terzo settore. Le necessità editoriali e di marketing hanno però imposto al lettore un’attenzione impulsiva nei confronti di un titolo che, come nel caso già trattato de
“Il lato oscuro della sussidiarietà”, funge solo da calamita ma che poi nasconde un saggio che non condanna ma indaga e, con coraggio, pone al centro dell’attenzione quanto omesso fino ad oggi, da addetti ai lavori e non.
Gli equivoci
La tesi di Moro muove verso quel mondo, quello “spazio protetto di azione in cui un po’ tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche alle polisportive”; il non profit mondiale ha goduto negli anni della rendita fornitagli da quell’aurea di benevolenza che ne accompagnava ogni singola azione, dimenticando di compiere le opportune differenziazioni.
Il problema cresce e si diffonde da anni, figlio di una mancata conoscenza di base (che millanta origini medievali del fenomeno, quando si parla di un trend poco più che quarantennale) e di quella estesa convinzione che ne fa un “magma indistinto”, un fascio indifferenziato di erbe, benigne o nocive che siano.
Il non profit gode di quei parametri entro i quali la vita è più semplice, agevolata, cullata tra pressione fiscale ridotta e burocrazia meno oppressiva, e orgogliosi di un pregiudizio consolidato che ne fa un fenomeno, sempre e comunque, positivo.
Ciò che ha condizionato questo trend è stata la confusione con la quale si è gestito un fenomeno che ha assunto sempre più importanza, andando a far lievitare i contributi apportati ai PIL nazionali; una confusione rivelatasi letale quando accanto alle mense per i poveri ed alle cooperative di disabili, sotto il grande e variegato ombrello del non profit sono andati ad aggiungersi, per esempio, associazioni che di non profit hanno veramente poco: parliamo di società del calibro di Real Madrid o Barcellona. E’ andata perdendosi, mai come in questo caso, la mission iniziale, quel nobile principio che faceva del non profit una terza via, incuneatasi prepotentemente tra i pilastri dell’economia moderna che portano i nomi di Stato e Mercato.
Il non profit “economizzato”
L’”economizzazione” del fenomeno è andata invece a minare proprio le fondamenta del terzo settore, snaturando ogni suo proposito benevolo: “il mondo guarda oltre il PIL, ma il non profit è invece considerato rilevante proprio in quanto può accrescerlo”, sostiene l’autore.
E’ un’inusuale sineddoche a caratterizzare il non profit italiano, diffusasi nell’opinione pubblica a causa di quella convinzione accresciutasi che sa caratterizzare il “tutto” grazie ai segnali positivi che giungono dal brillante operato di una “parte”, non importa se infinitesimalmente piccola.
E’ l’inconsapevolezza ad accompagnare una perseveranza nell’errore che dura da decenni; l’illusione di un “capitale sociale buono in sé”, sempre e comunque. Che sia dispotico o accogliente, che sia egoista o che punti ad arricchire il senso di un destino comune. All’interno della “Babele del non profit”, i professionisti del terzo settore hanno saputo tracciare astute scorciatoie ed hanno per sempre abbandonato i vincoli imposti a tutte le imprese private.
L’ovvia conseguenza, inevitabile deriva di un andazzo infetto, è stata quella di precipitare in uno scetticismo serrato che ha portato alla critica costante nei confronti di tutto l’operato non profit; un ribaltamento di quella sineddoche che oggi porta ad oscurare e a dubitare del “tutto”, a causa dei vizi e delle magagne della “parte”.
Quale futuro?
Giovanni Moro non offre soluzioni certe né indica sentieri sicuri da percorrere. A lui va il merito di aver sollevato un problema che, a suo dire, “è sulla scrivania di tutti gli addetti ai lavori”; un problema che però questi ultimi continuano a nascondere sotto ad un tappeto diventato ingestibile.
Dalle pagine finali si percepisce il sentimento che spinge l’autore nel portare a malincuore alla luce i difetti di un sistema di cui egli stesso fa parte con passione. Una passione che, come consuetudine in una società alla ricerca dei valori smarriti, non deve dimenticare, secondo Moro, di accompagnarsi ad analisi ed azioni certe e mirate. Comportamenti che sappiano fare del non profit una reale alternativa ad un sistema economico che, piaccia o meno, appare gravemente malato.