Lo studio dei processi economici può attingere ad un maggior grado di plausibilità sulla base della osservazione rigorosa dei fatti; ma al fondo, come tutte le scienze dell'uomo, si piega più o meno consapevolmente ad un sistema di valori. Quando nel 1992 viene firmato a Maastricht l'insieme dei criteri di convergenza (a tendere, verso il 60% di debito pubblico sul PIL; il 3% di indebitamento netto della Pubblica Amministrazione e il 2% di inflazione), molti economisti avevano chiarito che si trattava di rapporti numerici che esprimevano un percorso di convergenza di natura politico istituzionale e che, se difesi strenuamente in quanto tali, non avrebbero portato l'Europa da nessuna parte. Fernando Vianello (1999) in un saggio insuperato chiarì obiettivi e limiti della moneta unica europea. (http://www.huffingtonpost.it/gustavo-piga/stop-austerita-referendum_b_5646676.html)

Gustavo Piga. Macroeconomista, esperto di economia degli appalti pubblici e della corruzione. Scritto con Paolo De Ioanna.

Da quel momento è relativamente agevole dividere gli economisti tra coloro che continuano ad analizzare i fatti in modo statisticamente rigoroso, in termini di plausibilità e conoscenza dei fenomeni, e coloro che sono al servizio senza se e senza ma (con slancio e buona fede) di un progetto molto nobile: l'integrazione politica ed economica europea. I giuristi in questa vicenda hanno avuto il ruolo di artefici strumentali.

Il problema sta nel fatto che a partire dal 1992 si apre una lenta ma inesorabile contraddizione tra la difesa in quanto tale di questi rapporti numerici e la necessità di riempire questo processo (che rimane politico istituzionale) con politiche economiche adeguate all'interno dell'area, arricchite da innovazioni europee necessarie per far avanzare un'area monetaria imperfetta: creazione di una quota di debito pubblico europeo; investimenti comunitari; revisione dei poteri della banca centrale; garanzia del sistema bancario; bilancio pubblico europeo idoneo a finanziare beni pubblici europei (difesa, ecc.) e ad assolvere funzioni di sostegno all'economia c.d anti ciclici, ecc.

L'inserimento prima e l'inasprimento poi - con il Six pack fino al Fiscal compact (che è un trattato internazionale) - dei cosiddetti rapporti numerici in termini di saldi strutturali (che cercano di tenere conto del ciclo) di deficit pubblici e di stock a tendere di debito pubblico, ha in effetti peggiorato il carattere artificiale e virtuale di questa rete di regole. In questo trade-off, gli economisti prestati alla ed accettati dalla politica (i "tecnici") hanno assunto come asse comportamentale l'idea che la classe politica italiana non è in condizione di affrontare gli squilibri interni di una economia aperta agli scambi internazionali; quindi hanno ritenuto cosa saggia e giusta rimettere per intero il cuore delle nostre scelte fiscali (entrate e spese) ad autorità comunitarie: la Commissione e la BCE. Si tratta di una scelta di valore del tutto politica, fatta sulla spinta di circostanze esterne, soprattutto dopo le crisi del 2008 e 2009 e l'attacco speculativo dell'estate 2011.

Il punto sta nel capire se queste scelte sono giustificate. Il culmine di questo processo sta nelle nostre riforme costituzionali e ordinamentali del 2012, in particolare quella del c.d. "bilancio in pareggio" in Costituzione, che hanno cercato, consapevolmente, di blindare la nostra politica fiscale (entrate e spese) e di restringere al massimo il campo della scelta politica nazionale. Chi ha assecondato o guidato quelle scelte si è assunto una enorme responsabilità, tutta politica.

Purtroppo lo scadimento della classe politica era effettivamente grave: nessuna voce credibile, tranne pochissime, è riuscita ad aprire una seria discussione critica su questi temi. Gli atti parlamentari di quelle discussioni sono desolanti.

Chi scrive ritiene che la discussione democratica sull'equilibrio di bilancio pubblico e della sua sostenibilità avrebbe dovuto essere del tutto diversa: nel metodo e nel merito. Ora il referendum (al cui Comitato Promotore apparteniamo, vedi il sito www.referendumstopausterita.it, scadenza raccolta firme fine settembre) che mette in discussione alcune limitate disposizioni della legge n. 243 del 2012, legge che attua appunto il criterio del cd pareggio di bilancio (che pareggio non è ma equilibrio intertemporale, tenendo conto cioè delle fasi avverse e favorevoli del ciclo), intende restituire lo scettro della decisione (attraverso una discussione aperta e auspicabilmente approfondita) al corpo elettorale e poi al Parlamento. Sul merito e sulla tecnica delle proposte referendarie dovrebbe essere possibile poter discutere in modo appropriato, trattandosi di temi cruciali per lo sviluppo economico dell'Italia e della integrazione europea.

Sarebbe l'avvio di una nuova primavera europea dove potrebbero trovare spazio altre questioni macroeconomiche dirimenti ma oggi silenti, come il mandato della Banca Centrale Europea e le politiche del tasso di cambio dell'euro. Chi invece teme questa discussione e invita a tacere "perché lo spread ci ascolta", sta certamente facendo una scelta legittima; si tratta di capire se è ragionevole e se aiuta la situazione reale della nostra economia e i suoi bisogni di crescita e innovazione, che sono stati già peraltro individuati (a volte ma non sempre chiaramente) in serie politiche pubbliche nei campi cruciali delle infrastrutture, dell'innovazione, della ricerca, della università, ecc.

Di queste politiche si è già in apparenza ampiamente discusso in molte sedi, mentre sulle politiche fiscali e sulle relative regole il pensiero è unico; meno spese pubbliche e meno tasse; il debito ridotto via privatizzazioni e cessione di immobili. Tuttavia ci sembra obiettivamente molto difficile uscire dalla situazione in essere con questa impostazione. In fondo è opinione non solo nostra ma di molti, che viviamo in tempi in cui più della "stabilità che porta la crescita" è "solo la crescita, meglio ancora se sostenibile e legata allo sviluppo umano, che porta la stabilità". In ballo ci sono dunque temi che, se lasciati in un dimenticatoio, ci si ritorceranno contro in maniera plateale, sfacciata, urlata, distruggendo quanto di bello le vecchie generazioni hanno costruito per un'Europa forte e solidale nella pace e la concordia.

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