Viene in mente il famoso motto leggendo il testo della legge delega per la riforma del terzo settore, in particolare per quanto riguarda l’impresa sociale, ovvero il tema clou del disegno di riforma rispetto al quale il Governo poteva disporre – anche per il lavoro parlamentare e di lobby svolto negli ultimi mesi – del materiale normativo migliore.
Il colpo al cerchio è all’art. 4 lettera a), laddove si afferma che tra i principi e criteri definitori dell’impresa sociale vi è anche il “raggiungimento di impatti sociali positivi e misurabili“ realizzati nell’ambito dei loro processi produttivi ordinari, ovvero “la produzione e lo scambio di beni o servizi di utilità sociale“. In questo modo l’impatto sociale – e il suo paradigma di riferimento, cioè l’innovazione sociale – assume una rilevanza centrale nel definire il profilo identitario dell’impresa sociale. Certamente maggiore rispetto alla normativa attuale che invece riduce la questione all’obbligo di redazione di un bilancio sociale il cui schema appare peraltro eccessivamente burocratico e dunque poco efficace per realizzare una rendicontazione ad ampio raggio.
Il colpo alla botte viene assestato sempre nello stesso articolo, ma alla lettera e) che prevede una specifica “disciplina delle modalità di attribuzione della qualifica di impresa sociale alle cooperative sociali e consorzi“; si tratta, in altri termini, di un riconoscimento per default attribuito a quella che molti commentatori considerano l’impresa sociale de facto: la cooperazione sociale con le sue oltre 11 mila unità, 365mila addetti, 5 milioni di utenti e 10 miliardi di euro di giro d’affari. Grazie a questa disposizione l’impresa sociale in Italia si arricchirà sul versante quantitativo, ristabilendo, anche in termini formali, il ruolo guida del modello cooperativo.
Sarà interessante, da questo punto di vista, verificare gli equilibri tra queste diverse leve di sviluppo: come, in altri termini, gli strumenti e le metriche d’impatto potranno agire sulla crescita in senso qualitativo di un settore che, in tempi relativamente brevi, assisterà a una consistente iniezione di organizzazioni d’impresa sociale. Non solo per l’ingresso in massa delle cooperative sociali, ma anche per effetto di una nuova normativa che auspicabilmente arricchirà il comparto anche sul fronte del pluralismo dei modelli, dei settori di attività e financo degli approcci all’esercizio sociale dell’attività d’impresa.
La messa a regime di questa nuova architettura normativa sarà strettamente legata alla disponibilità di nuove risorse. Da questo punto di vista nel testo di legge si evidenziano alcuni elementi di interesse legati, ad esempio, all’attrazione di capitali grazie all’allentamento del vincolo alla distribuzione degli utili e la disponibilità di una fondo di rotazione nazionale (che ci si augura diventi presto un “fondo di fondi”). Oppure, su altro fronte, l’interessante previsione del trasferimento di immobili inutilizzati o sottoutilizzati dello Stato affinché vengano rigenerati per fini sociali, allargando il perimetro fin qui limitato agli asset confiscati e sequestrati alle organizzazioni mafiose. Tutte disposizioni importanti, ma nessuna sembra in grado di svolgere un ruolo centrale per aprire un nuovo ciclo di vita dell’impresa sociale. Lo strumento c’era nelle linee guida che hanno preceduto la legge delega, ma è stato messo da parte probabilmente per questioni di compatibilità economica. Si tratta del voucher universale “per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali”: uno strumento che poteva garantire, se applicato su larga scala, lo sblocco di mercati di servizi alla persona e alla comunità. Mercati che, si sa, rappresentano il motore di sviluppo di qualsiasi impresa. Anche sociale.
Paolo Venturi (Aiccon)
Flaviano Zandonai (Iris Network)
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