Su una superficie estesa dal Sahara centrale allo Sahel, e che supera un milione di kilometri quadrati, vive un popolo la cui storia risale a migliaia di anni fa. Tradizionalmente nomadi, a volte sedentari, i Touareg rimangono gli unici abitanti della parte interna del Sahara. Sono stanziati soprattutto in Mali e Niger ma anche in Algeria, Libia, Burkina Faso e perfino nel Ciad: in tutto sono una popolazione di circa un milione e mezzo di persone.  

L’origine della parola Touareg rimane sconosciuta nonostante le varie interpretazioni. Per alcuni, la parola deriva dall’arabo “gli abbandonati da Dio”, per altri invece, il termine deriva dal nome di un area nella regione libica di Fezan Oubari denominata “Targa” dai berberi, che vuol dire “canale di irrigazione”.  Questa ipotesi sembra essere la più vicina alla realtà. La vasta regione di Fezan che si estende nel  cuore del grande sahara con una superficie di circa 700.000 km2, grazie alle sue oasi e risorse idriche è sempre stata un’ attrattiva per i nomadi in cerca di sorgenti di acqua e  pascoli per il loro bestiame. Molti di loro si sono concentrati lì permanentemente , gran parte appartenenti al popolo Touareg.

Tuttavia, i Touareg non si designano con questo appellativo – secondo loro spregiativo -, ma preferiscono essere chiamati Imuhagh o Imushagh. Il termine per un uomo Touareg è Amajagh (Amashegh, Amahagh), per una donna è Tamajaq (Tamasheq, Tamahaq, Timajaghen). Le varianti ortografiche rispecchiano la varietà dei dialetti Touareg che cambiano secondo l’area di provenienza, ma tutti riflettono la stessa radice linguistica, che esprime il concetto degli “uomini liberi”. Sebbene l’origine della parola Touareg rimanga un mistero, la certezza invece è che esso sia  di origine berbera. Ambedue i gruppi parlano la lingua berbera “Tamazight” e scrivono in alfabeto “Tifinagh”. Si definiscono come “Kel Tamasheq” (“quelli che parlano Tamasheq” in dialetto Touareg).

I Touareg sono riusciti a mantenere quasi inalterata la loro purezza “etnica”, rimanendo fedeli alla loro cultura e le loro vecchie tradizioni, benchè l’arrivo  degli arabi in nord Africa abbia notevolmente influenzato il loro modo di vita che è diventato quasi simile a quello dei bedouini arabi. La cultura arabo-islamica è considerevolmente presente nel quotidiano dei Touareg, come testimonia la consuetudine del tè. Introdotta dagli arabi all’inizio del XX secolo è molto più di una semplice usanza per I Touareg. Simbolo di ospitalità e modo di socializzare con viaggiatori di passaggio, il thè rimane indispensabile nella vita quotidiana e si beve almeno tre volte al giorno.

I Touareg sono  spesso chiamati “uomini blu del deserto”   per via del tipico turbante blu indaco  che colpisce immediatamente. Il velo “taguelsmut”, indossato dagli uomini - che lascia scoperti solo gli occhi - ha invece colori diversi a seconda dell’appartenenza alla classe sociale : è blu per i nobili, nero per la gente comune e bianco per gli schiavi. Non solo il colore ma anche la lunghezza del turbante che varia da 5 a 8 metri è molto significativa nella gerarchia sociale. Il “taguelmust” non ha solo funzioni pratiche, come la protezione dal sole, ma pure simboliche. Si copre la bocca per paura di inalare spiriti maligni come spesso diffuso tra gli abitanti del deserto che credono che tutto ciò che si trova nel deserto possiede un anima.

Nei tempi coloniali, presentati di una maniera abbastanza stereotipata negli scritti europei, i Touareg hanno affascinato e terrorizzato allo stesso tempo, i feroci guerrieri, dominatori e  signori del deserto, così scrive l’esploratore francese Henri Duveyrier nel suo libro “I Touareg del Nord” nel 1864. Gli  scritti degli cronisti arabi sui Touareg risalgono alla fine del 1300, Ibn Khaldoun – storico, sociologo, politologo e filosofo – ha menzionato i Touareg nella sua famosa opera -  “Al muqaddima” “L’introduzione” -  come “Ahl allitham” in arabo “gli uomini del velo”. Descrivendo la società, le abitudini e il modo di vita di questo antico popolo.

Ora, questo popolo del deserto, custode di un prezioso patrimonio, rischia di scomparire, vive tra passato e presente, tra tradizioni e modernità, fatica a preservare la propria identità e cultura. Le carovane di un tempo fa sono sparite, lasciando posto a veicoli di turisti che percorrono le vie del deserto.

Persi nella loro solitudine, i Touareg sembravano marginalizzati dagli interessi occidentali. Sono tornati alla ribalta durante la guerra civile in Mali, una guerra passata in secondo piano negli ultimi mesi. I Touareg sono stati accusati di spalleggiare i terroristi della ormai onnipresente Al Qaeda durante l’avanzata dal nord al sud del Paese a seguito del colpo di Stato della primavera 2012. Dopo la proclamazione di indipendenza di Azawad (la parte nord del Mali), sono seguiti mesi convulsi fino all’intervento francese, sotto egida Onu, che ha fermato le milizie e in qualche modo pacificato il Paese. Almeno si fa per dire: molti Touareg sono ancora nei campi profughi sul confine maliano in una condizione molto difficile, mentre continuano gli scontri con l’esercito regolare. La mediazione francese pare essere troppo di parte per garantire un risoluzione al conflitto.

Non è solo il Mali a interessare. Nel vicino Niger, dove per altro il Premier è un Touareg, ci sono le “basi di appoggio” per la partenza dei droni francesi e americani, sempre pronti per colpire chiunque nell’interminabile “guerra al terrorismo”.

Amici o nemici che siano, per quasi tutti i governi della Regione e per le potenze internazionali, i Touareg sono considerati come una minoranza pericolosa e inquieta: oggetto di lusinghe e di promesse, ma di più di persecuzioni e discriminazione, continuano a lottare in silenzio.

Hicham Idar

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