Ci premiano salute e, a causa della crisi, alcuni indicatori sull’ambiente. Ma il rapporto Istat-Cnel che tenta di lanciarsi oltre il Pil dipinge un quadro critico per lavoro, giovani, innovazione e politica. (http://www.wired.it/attualita/politica/2014/06/26/bes-2014-ritratto-dellitalia-che-soffre/)

Roma. Il Bes (Benessere equo e sostenibile) per lanciarsi oltre il Pil. Un indicatore rotondo, basato su 12 ambiti che analizzano il benessere italiano attraverso 134 indicatori. Una scommessa di Istat e Cnel, enti messi sotto l’occhiuta lente dai tagli alla spesa pubblica, arrivata al secondo anno e presentata oggi alla presidenza del Consiglio.

Un rapporto che ci racconta di salute, istruzione e formazione, lavoro e tempi di vita, economia, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo. E ancora paesaggio e cultura, ambiente, ricerca e qualità dei servizi. Senza dubbio un lavoro monumentale messo in piedi per dare il polso del Paese. Come stiamo, soprattutto nei rapporti fra di noi, ma anche in senso oggettivo.

La salute, per esempio, è in miglioramento. La speranza di vita sale: 79,6 anni per gli uomini e 84,4 per le donne. Fra 2009 e 2012 abbiamo guadagnato oltre due anni di esistenza. Scende ancora la mortalità infantile e anche quella da tumori, demenze e malattie del sistema nervoso. Ma con gli incidenti stradali, come d’altronde la cronaca non smette di provare, andiamo male.

Il problema, semmai, è nella testa. Il benessere psicologico è sceso. Poco, ma è sceso: da 49,8 del 2005 a 49 del 2012. E ovviamente i comportamenti a rischio s’impennano: eccesso di peso, sedentarietà, poca frutta e verdura. Calano fumatori e consumatori di alcol ma non basta. Anche perché – costante per ogni ambito – permangono le disuguaglianze territoriali.

Anche la formazione va meglio. Fra 2011 e 2013 sono migliorati tutti gli indicatori in merito. Ma anche qui siamo lenti. Un dato su tutti: solo il 58,2% dei 25-64enni possiede un diploma, la media Ue è 74,9%. Laurea? 22,4% contro 40%. Troppo poco. E poi c’è il boom dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non fanno altro: sono il 26%, +6% rispetto a prima della crisi. Quasi come logica conseguenza l’indice di partecipazione culturale continua a scendere.

“Tra il 2004 e 2007 il benessere del Paese era su livelli complessivamente positivi, seppur articolati – ha detto Antonio Marzano, presidente del Cnel – tra il 2008 e il 2009 abbiamo subito gli effetti della crisi. Tra il 2010 e il 2011 abbiamo vissuto una piccola ripresa che non ha tenuto nel 2012. Nel 2013, invece, abbiamo avuto segnali positivi. L’incertezza dunque domina questo periodo storico ed è uno degli elementi capaci di influenzare di più la qualità della nostra vita”.

Uno dei punti dolenti del rapporto Bes 2014 è il tema del lavoro, l’autentico dramma italiano contemporaneo. L’elemento di partenza è il tasso di occupazione fermo nel 2013 a 59,8% mentre nell’Unione a 27 è al 68,5%. Ma è la qualità degli impieghi a preoccupare Istat e Cnel. E, con buona pace dell’ex ministra Elsa Fornero, il documento rileva come sia aumentata la presenza di lavoratori con un titolo di studio superiore a quello richiesto.

Fortunatamente qualche luce non manca. Per esempio nella riduzione del divario di genere, da 11 a 8 punti nel 2013 pur restando ampiamente superiore alla media europea. Ma, come si diceva, sono i giovani l’emergenza vera e anche la conciliazione dei tempi di vita. Inutile dire che tutti gli indicatori sfoggiano livelli peggiori nel Mezzogiorno e spesso “c’è una riproduzione intergenerazionale delle condizioni di svantaggio: uno spreco di capitale umano oltre che una grandissima iniquità“, come ha notato la sociologa Chiara Saraceno.

Se il lavoro non va bene l’economia non gira. Certo, siamo ancora fra i più ricchi d’Europa quanto a ricchezza reale netta. Ma è la prima casa a salvarci e comunque l’indicatore è sceso del 2,9% nel 2012: i nostri immobili valgono meno. Così come il reddito per abitante, sceso del 4% al Nord e del 2,9% al Centro. Conseguenza, l’aumento degli indicatori di povertà. Basti una cifra: la quota di persone che vivono in famiglie assolutamente povere passa ovunque dal 5,7% all’8%. A ruota gli indici di grave deprivazione, dall’11,1% del 2011 al 14,5% del 2012. Unica consolazione: pare ci si stia indebitando un po’ meno.

“Dalla lettura emerge un quadro multidimensionale in cui ci sono elementi di miglioramento e peggioramento – ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – la grande crisi ha inciso profondamente nel tessuto e la debolezza. Acuendo punti deboli che già esistevano prima della crisi, cosa che ricordo sempre. La nostra è una doppia sfida: uscire da due anni di recessione profondissima ma anche superare quegli impedimenti alla crescita che sono presenti da almeno due decenni. Strumenti come il Bes ridefiniscono la politica economica”.

In un contesto così incerto anche le relazioni sociali, che nei primi anni di crisi hanno funzionato da ammortizzatori , si sfilacciano. Ma rimangono essenziali: senza parenti, amici e vicini su cui contare non ce la farmemo. Lo sostiene l’80,8% della popolazione. Anche se la qualità di questi rapporti – compresi quelli famigliari – diminuisce sotto le pressioni quotidiane, così come la partecipazione sociale anche se il volontariato rimane stabile. La presenza delle istituzioni non profit si attesta su 50,7 per ogni 10mila abitanti. Molte meno al Sud. Una curiosità? Non ci fidiamo più gli uni degli altri: solo il 20,9% delle persone dai 14 anni e oltre si affiderebbe agli altri.

“Se ne passato si partiva dai bisogni umani tenendo conto del capitale – ha detto l’ex ministro del lavoro Enrico Giovannini – tentando poi di aggiungere la felicità. Ma il modello è moltiplicativo. La capacità dipende dalle nostre happiness skill, che variano da persona a persona e che si possono imparare. Resilienza, capacità di rispondere agli shock e altre qualità: a seconda di come ci sentiamo possiamo cambiare i nostri bisogni recependo quelli degli altri”.

Tuttavia la soddisfazione generale dei cittadini nei confronti della vita nel suo complesso continua a essere mediamente elevata. Il 35% darebbe un voto fra 8 e 10 ma fra i giovani la prospettiva peggiora. E neanche il tempo libero sembra sollevarci: ne giova appena il 63% degli italiani. Pochi, per momenti che dovremmo riempire con attività che scegliamo in autonomia.

Un elemento legato a doppio filo alla sfiducia nei confronti della politica, a ogni livello e articolazione territoriale e per ogni fascia d’età. Interessante invece che aumenti la partecipazione alla vita politica. Al vertice della fiducia Vigili del Fuoco e forze dell’ordine. Il rapporto Bes 2014 segnala anche l’aumento della presenza femminile e dei giovani nelle assemblee parlamentari e nei luoghi decisionali della sfera pubblica. Un senatore su quattro ha meno di 50 anni e, come già sapevamo, la quota rosa del Parlamento è al 31,3%.

La percezione della sicurezza, nonostante il calo degli omicidi, risente dell’aumento dei reati contro il patrimonio (furti, rapine, truffe, estorsioni, usura e così via). Un numero: i furti nelle abitazioni hanno subito un’impennata nel 2012, su del 40% rispetto al 2010. Così come dal 2011 sono tornate a crescere le rapine.

L’ultima parte del rapporto è dedicata all’aspetto culturale in senso ampio. Altro punto critico del sistema italiano. Quanto al paesaggio, il Bes 2014 registra un secco rallentamento della perdita di superficie agricola utilizzata. Un punto d’inizio anche se probabilmente legato a un calo delle nuove costruzioni, “uno dei principali fattori di insostenibilità del modello di sviluppo” negli anni scorsi. Ciononostante l’abusivismo è tornato a salire.

La tutela dell’ambiente sembra invece aver fatto dei passi avanti ma le regole sono ancora troppe e diverse da zona a zona. La qualità dell’aria, anche se di poco, migliora. Così come cresce, altrettanto di poco, il verde urbano nei capoluoghi: appena lo 0,5% tra 2011 e 2012. È cresciuta anche la quota di rinnovabili (26,9%) sul totale dell’energia elettrica: tre punti in più rispetto al 2011. Anche qui: probabile che ci abbia dato una mano più la crisi che politiche concrete e ben implementate.

Il documento di Istat e Cnel si chiude con la ricerca e l’innovazione, oltre che con la qualità dei servizi. La quota del Pil destinata al settore, lo sappiamo, è bassa (a livello europeo contribuiamo al 7,6%) e calano del 6,1% (2011) le domande di brevetto, due terzi delle quali arrivano dalle regioni settentrionali.

Quanto ai servizi, procediamo per avanzamenti e passi indietro, col solito elemento della differenziazione territoriale. Che significa? Per esempio che accogliamo meno bambini nelle strutture pubbliche o convezionate (13,5%, nel Mezzogiorno è iscritto solo il 5% dei bambini fino a due anni), meno anziani e persone bisognose di cure nei centri socioassistenziali e – oltre all’allarme delle carceri – un’ulteriore marcia indietro nei trasporti pubblici.

Partner della formazione

ConfiniOnline fa rete! Attraverso la collaborazione con numerosi enti profit e non profit siamo in grado di rivolgere servizi di qualità a costi sostenibili, garantendo ampia visibilità a chi supporta le nostre attività. Vuoi entrare anche tu a far parte del gruppo?

Richiedi informazioni