Rapporto MSF alla vigilia del terzo anniversario dell’Indipendenza del Paese: in pochi mesi 6 ospedali saccheggiati o bruciati, almeno 58 persone uccise al loro interno.
Juba/Roma. La violenza negli ospedali e la distruzione delle strutture sanitarie negano l’assistenza medica a molte delle persone più vulnerabili in Sud Sudan. Lo denuncia il nuovo rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF)
“Il conflitto in Sud Sudan: Violenza contro l’assistenza medica”, diffuso a livello internazionale a pochi giorni dall’anniversario del più giovane Stato al mondo, che il 9 luglio compie tre anni.
Da quando è scoppiato il conflitto armato in Sud Sudan, nel dicembre 2013, almeno 58 persone sono state uccise negli ospedali e in almeno sei occasioni questi ultimi sono stati saccheggiati o bruciati. Queste cifre non sono esaustive, ma rispecchiano solo le informazioni raccolte da MSF in zone dove gestisce delle attività o dove ha condotto valutazioni mediche.
“Il conflitto ha raggiunto terribili picchi di violenza, anche contro le strutture sanitarie” dichiara Raphael Gorgeu, Capo Missione per MSF. “Hanno sparato ai pazienti mentre erano nei loro letti e strutture sanitarie salva-vita sono state bruciate e completamente distrutte. Questi attacchi hanno gravi conseguenze per centinaia di migliaia di persone che sono tagliate fuori dai servizi medici.”
Lo scopo del rapporto è di favorire il dialogo e rendere noto l’impatto di questa crisi sulla possibilità di fornire assistenza medica, stimolando un cambiamento positivo perché sia garantito un accesso sicuro alle cure alla popolazione del Sud Sudan.
Gli ospedali sono stati saccheggiati nelle città di Bor, Malakal, Bentiu, Nasir e Leer, spesso durante periodi di violenti combattimenti. E i danni vanno ben oltre gli atti di violenza in sé, perché le persone vulnerabili vengono tagliate fuori dal sistema sanitario proprio quando ne hanno un disperato bisogno.
Ad esempio l’ospedale di MSF a Leer, nella zona meridionale dello Unity State, è stato distrutto insieme a gran parte della città tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Era l’unica struttura a fornire assistenza medica secondaria, tra cui interventi chirurgici e trattamenti contro HIV e tubercolosi, in un’area popolata da circa 270.000 persone. Interi edifici sono stati ridotti in macerie e le attrezzature necessarie per la chirurgia, la conservazione dei vaccini, le trasfusioni di sangue e le attività di laboratorio sono state distrutte.
A maggio, MSF ha ripreso alcune attività poiché la popolazione ha iniziato a rientrare in città. Solo durante le prime tre settimane, i membri delle équipe di MSF a Leer hanno curato più di 16.000 bambini per malnutrizione. Ma l’organizzazione non è in grado di offrire i servizi che garantiva prima, tra cui vaccinazioni di routine e interventi chirurgici d’emergenza.
“Purtroppo a causa di questa crisi abbiamo perso le tracce di molti dei nostri pazienti, alcuni dei quali potrebbero essere deceduti in mancanza di trattamenti continuativi” dichiara Muhammed Shoaib, Coordinatore medico per MSF. “Ora siamo tornati e stiamo curando diversi pazienti, ma possiamo offrire solo una minima parte dei servizi che garantivamo un tempo. Ad esempio, non c’è alcuna possibilità di ricevere assistenza chirurgica in tutto lo Unity State meridionale.”
Gli ospedali statali del Sud Sudan sono stati teatro di alcune delle violenze peggiori. Durante gli scontri di dicembre, nel Bor State Hospital, 14 pazienti e un membro del Ministero della Salute sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. A febbraio sono state uccise altre 14 persone al Teaching Hospital di Malakal, tra cui 11 pazienti, a cui hanno sparato mentre erano nei loro letti. Ad aprile, al Bentiu State Hospital, circa 28 persone sono state uccise, tra cui almeno un membro del Ministero della Salute.
MSF ha più volte condannato questi incidenti, che hanno minato enormemente la sua capacità di fornire assistenza umanitaria nel momento in cui le persone ne hanno più bisogno, e chiede alle parti coinvolte nel conflitto di garantire che la popolazione in Sud Sudan possa cercare assistenza medica senza paura della violenza.
A causa del conflitto in Sud Sudan, quasi 1,5 milioni di persone hanno dovuto lasciare la loro casa, di cui circa un milione di sfollati nel paese e 378.000 in cerca di rifugio in Etiopia, Kenya, Sudan e Uganda. L’impatto del conflitto inasprisce un sistema sanitario già fragile e incapace di rispondere ai bisogni sanitari della popolazione. L’aspettativa di vita nel paese è di 54 anni, il tasso di mortalità materna è di 730 ogni 100.000 bambini nati vivi, il tasso di mortalità per i bambini al di sotto dei cinque anni è di 104 su 1.000. Più della metà della popolazione vive a più di 5 km a piedi dal centro sanitario più vicino.
Il rapporto è parte del progetto di MSF “Assistenza medica sotto tiro”, lanciato in Sud Sudan a novembre 2013. L’iniziativa è parte di un progetto complessivo che mira a comprendere meglio la natura della violenza che gli operatori sanitari devono affrontare nelle zone di conflitto per migliorare le condizioni di sicurezza dei pazienti, dello staff e delle strutture sanitarie. In Sud Sudan, MSF lavora con le comunità, con attori medici e umanitari e con le autorità locali a livello nazionale e internazionale affinché si possa creare un ambiente più sicuro per fornire cure mediche.