Dall’India alla Nato, dalla Russia all’Ecuador, le Ong accusate di essere agenti stranieri.

di Umberto Mazzantini

Con la vittoria del Bharatiya Janata Party (Bjp) alle ultime elezioni e con la nomina di Narendra Modi a primo ministro dell’India, l’Hindutva della destra nazionalista si è rivolta contro Ong internazionali come Environmental Justice Organisations (Ejo), Greenpeace, ActionAid, Amnesty International accusandole di essere finanziata con denaro straniero. Ad esempio, Ejo è accusata di prendere soldi dai Paesi scandinavi e dalla la Germania per «Frenare lo sviluppo», bloccare progetti minerari e di difendere i popoli indigeni che vivono nelle foreste ed aiutare anche i movimenti ambientalisti contro le centrali nucleari. L’offensiva antiambientalista di Modi e del Modi è del Bjp si basa sull’IB Report NGO (Concerted efforts by select foreingn NGOs to “take down” Indian development projects) dell’Intelligence Bureau del ministero degli interni che copia letteralmente alcuni discorsi elettorali di Modi. La società civile indiana spera solo che il sistema giudiziario sia ancora abbastanza forte da resistere a queste minacce della destra indù.

Ma c’è un’altra offensiva anti-ambienalista che riguarda direttamente le Ong occidentali e viene addirittura dalla Nato. Secondo Joan Martinez Alier di Ejo, «Il premio per la paranoia va al segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che ha di recente dichiarato a Londra che la Russia stava montando una campagna di disinformazione volta a minare i tentativi di sfruttare lo shale gas». Il 19 giugno l’ex primo ministro di centro-destra della Danimarca, ha detto ad una riunione organizzata da think tank londinese Chatham House che dietro i tentativi di screditare il fracking c’è il governo di Vladimir Putin: «Ho incontrato alleati che possono rapportare che la Russia, come parte delle sue sofisticate operazioni di informazione e disinformazione, è impegnata attivamente con le cosiddette organizzazioni non governative – delle organizzazioni ambientaliste che lavorano contro il gas di scisto – per mantenere la dipendenza europea dal gas russo importato». Il segretario della Nato si è rifiutato di fornire dettagli su queste fantomatiche operazioni, dicendo che «Questa è la mia interpretazione».

A parte che Putin ha già fatto approvare dal Parlamento russo una legge che tratta le organizzazioni ambientaliste ed umanitarie internazionali da “agenti stranieri” finanziati dall’occidente, è difficile davvero far credere che i milioni di persone, le associazioni ambientaliste, esperti, scienziati e giornali come greenreport.it, che non credono che il fracking sia sostenibile geologicamente, socialmente e ambientalmente, siano pagati dai russi.

Rasmussen ha chiarito che fracking deve essere utilizzato per aumentare la sicurezza energetica dell’Europa, fornendo una nuova fonte di gas e di petrolio, «Quanto alle forniture ed ai percorsi energetici, sono un problema soprattutto per l’Unione europea, contiamo che l’Ue tenga conto delle nuove realtà della sicurezza in Europa e guardi se ci sia la necessità di rivedere la diversificazione delle fonti energetiche e l’ampliamento delle infrastrutture energetiche. Chiaramente, è nell’interesse di tutti gli alleati della Nato essere in grado di avere un adeguato approvvigionamento energetico. Ciò è fondamentale per le nostre economie, la nostra sicurezza e la nostra prosperità. Condividiamo la preoccupazione da parte di alcuni alleati che la Russia potrebbe cercare di ostacolare eventuali progetti di esplorazione di gas shale in Europa al fine di mantenere la dipendenza dell’Europa dal gas russo».

Ma il futuro del fracking in Europa è meno chiaro di quanto creda Rasmussen ed a dirlo è una fonte insospettabile di un governo favorevolissimo al fracking. «La geologia, piuttosto che le preoccupazioni politiche, rischia di essere l’ostacolo principale – ha detto al Guardian Katarzyna Kacperczyk, sotto-segretaria agli esteri della Polonia – Se sia possibile estrarre il gas è tutta una questione di geologia. Diverse parti del mondo hanno diversi geologie». Si pensa che la Polonia abbia alcuni dei migliori giacimenti di gas shale in Europa, ma i tentativi di sfruttamento finora non hanno dato risultati e anche la Kacperczyk ammette che «Non c’è alcuna garanzia che la Polonia sarà in grado di accedere alle sue riserve di gas shale».

Le associazioni ambientaliste hanno subito ribattuto alle accuse di Rasmussen, smentendo di essere coinvolte in eventuali presunti tentativi russi di screditare il fracking, che avversano per motivi di sostenibilità ambientale. Greenpeace, che con la Russia di Putin ha diversi conti energetici aperti nell’Artico, ha detto che «L’idea che siamo burattini di Putin è totalmente assurda, tanto che bisognerebbe chiedersi cosa si stiano fumando al quartier generale Nato». Anche Andrew Pendleton, di Friends of the Earth, la butta sullo scherzo: «Forse i russi sono preoccupati per il nostro enorme potenziale eolico e solare ed hanno infiltrato il governo del Regno Unito».

Ma per gli ambientalisti sono tempi duri anche dove governa la sinistra: il vicepresidente della Bolivia, Garcia Linera, ha difeso a spada tratta la strada Tipnis che dovrebbe attraversare i territori indigeni nell’Amazzonia boliviana per favorire l’esplorazione petrolifera: Linera ha attaccato le Ong internazionali e locali che si oppongono alla strada accusandole di essere al sodo della Cia e di UsAid ed ha scritto: «Alcune Ong sono diventate il mezzo per i Paesi capitalisti sviluppati per raggiungere territori e risorse che altrimenti non potrebbero essere raggiunti senza trattative o accordi con altri Stati nazionali».

Intanto anche un altro esponente della sinistra nazionalista latinoamericana, il presidente dell’Ecuador Rafael Correa è impegnato in una campagna contro organizzazioni ambientaliste come Pachamama Alliance e Acción Ecológica che ormai parlano di «Criminalizzazione dei difensori della natura». Ciorrea è alla disperata ricerca di prove che le associazioni ambientaliste ed indigene siano finanziate dal capitalismo straniero, intanto lui sta svendendo le risorse minerarie e petrolifere del Paese a multinazionali straniere. Acción Ecológica ha risposto all’offensiva del governo di Quito evidenziando che «Difendere la natura è soprattutto un diritto reclamato da persone, comunità o popoli che vogliono impedire la contaminazione o la distruzione di acqua, boschi, paludi, fiumi, mangrovieti o zone coltivate. Esercitare questo diritto non è stato facile. Dietro le lotte di resistenza contro le operazioni ed i progetti estrattivi ed agroindustriali ci sono storie di repressione, intimidazione, processi giudiziari e prigionia stimolati da imprese nazionali, multinazionali e dallo Stato con l’appoggio delle forze di sicurezza pubbliche e private».

Ma l’Ong non molla e ricorda che «Sebbene parte di queste storie vissute da centinaia di difensori e difensore della natura accadano durante la notte neoliberale, nuove storie di criminalizzazione sono emerse ai tempi della revolución ciudadana». Acción Ecológicaè preoccupata di quello che sta succedendo in Ecuador ed in altri Paesi latinoamericani perché si tratta di un ritorno al passato: nel 2008 l’Assemblea Costituente dell’Ecuador amnistiò più di 600 ambientalisti che erano stati condannati per «Aver esercitato il diritto a protestare in difesa delle risorse naturali e per ottenere una vita degna in un ambiente ecologicamente sano e libero da contaminazioni». D’altronde anche la Costituzione “ambientalista” dell’Ecuador stabilisce diritti che rafforzano la difesa di “Pachamama”, come quello alla resistenza (articolo 98), quello sul diritto della natura ad essere difesa (articolo 71), il riconoscimento dell’acqua come diritto umano fondamentale (articolo 12) e la proibizione di privatizzarla e del diritto di prelazione sul suo uso privilegiando il consumo umano, l’agricoltura familiare e la salvaguardia della natura (articolo 318), la sovranità alimentare come garanzia per tutto il popolo (articolo 281) e il carattere plurinazionale dello Stato (articolo 1) che garantisce la sovranità sulle risorse ai popoli indigeni.

Ma ora, denunciano ad Acción Ecológica, «La difesa della natura non può convertirsi in delitto, né i suoi difensori essere stigmatizzati come terroristi. Le organizzazioni e movimenti sociali dell’Ecuador hanno da tempo optato per la realizzazione di nuove forme di relazioni amorevoli con la Pachamama, creando e rafforzando le reti comunitarie, passi sicuri per un nuovo paradigma di trasformazione».

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