I dati della ricerca europea possono essere letti in più modi. Uno studio italiano evidenzia il ruolo del welfare nella promozione dello "SportPerTutti".
Il 3 giugno erano presenti all'incontro di presentazione dei dati di Eurobarometro anche gli studiosi Antonio Mussino e Nicola Porro, che hanno esposto interpretazioni innovative della ricerca e del rapporto tra i cittadini europei e l'attività motoria.
“La ricerca ha delle carenze rilevanti: – ha evidenziato Antonio Mussino, docente di statistica dell’Università La Sapienza di Roma - non ha limiti di età e subisce quindi una distorsione dei dati legata all’invecchiamento della popolazione, soffermiamoci poi sulle prime due domande della ricerca, quanto spesso pratichi esercizio fisico e quanto spesso pratichi attività fisica? Queste due frasi esprimono subito concetti che sono diversi da paese a paese, da cultura a cultura, quindi non sono chiare. Nell’edizione 2013 della ricerca, la precedente era del 2009, si è aggiunta una spiegazione data a voce dall’intervistatore, ma questo rende comunque le due ricerche non comparabili in quanto le domande sono poste in modo diverso. Secondo me bisognerebbe utilizzare i dati dell’eurobarometro in maniera diversa e incrociare le risposte per arrivare a sapere chi e quanti sono i sedentari, quanti quelli che praticano sport e quanti quelli che fanno attività fisica”.
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Nicola Porro, sociologo dello sport all’università di Cassino, ha proposto un punto di vista diverso, presentando una sua ricerca a livello europeo, coordinata dall’Italia, in cui ci si chiede le origini delle diverse percentuali di pratica sportiva nei paesi europei. “Abbiamo svolto una ricerca comparativa a livello europeo, dal 2010 al 2013, per capire quali sono le variabili che possono aiutare a spiegare le diversità della pratica sportiva europea. Abbiamo considerato tre variabili rilevanti: la struttura istituzionale che nei diversi stati si occupa di sport; il sistema di welfare che qualifica o meno lo sport come diritto di cittadinanza e la ricchezza di un paese".
"Ci siamo chiesti quanto la struttura istituzionale influenzi la visione dell’attività sportiva - ha proseguito Porro - e abbiamo evidenziato diversi modelli: uno centralistico, sul modello francese, con il ministero che segue tutte le espressioni dello sport, dall’agonismo alla promozione; il modello dei paesi dell’Europa centrale, come la Germania, in cui c’è una forte divisione tra agonismo e sport di base; in Scandinavia la gestione dello sportpertutti è affidata ad agenzie territoriali; il modello insulare-liberistico, della Gran Bretagna, in cui lo stato promuove campagne e progetti ma non interviene direttamente.
Il modello italiano, invece, prevede una delega totale al Coni. Abbiamo poi preso in considerazione i tipi di welfare, per capire come le politiche sociali tematizzino lo sport: esiste il welfare solidaristico scandinavo dove nasce, come prevenzione sanitaria, lo sport di cittadinanza; il modello corporativo, che accomuna ad esempio Francia e Germania, in cui le politiche pubbliche proteggono soprattutto il lavoratore tutelato; il modello mediterraneo familistico, che comprende Italia, Grecia, Spagna, Portogallo, paesi in cui c’era una bassa tassazione con servizi medi, cose che sono cambiate, ma comunque sempre con una forte attenzione alla famiglia. L’altro elemento considerato è il rapporto tra percentuale di praticanti e l’indice di sviluppo umano dell’ONU, dato da reddito, istruzione e aspettative di vita".
Le conslusioni di Nicola Porro sono state che gli assetti istituzionali sportivi sono importanti nella gestione interna ma non hanno influenza nell’incoraggiare o meno la pratica sportiva, c’è una influenza di tradizioni e cultura dei singoli paesi, anche se depotenziata dalla globalizzazione, mentre c’è una forte relazione tra regimi di welfare e pratica sportiva”.