Armi. L’acronimo in lingua inglese è rassicurante: Laws, “leggi”. A scioglierlo, però, vengono i brividi: Laws sta per Lethal authonomous weapons systems, sistemi d’arma autonomi letali, ossia strumenti offensivi progettati per individuare, colpire ed eliminare un obiettivo senza l’intervento dell’uomo. (
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2014/05/22/robot-killer-le-armi-del-futuro-fermiamole/#.U32kpSgizXM.twitter)
di Riccardo Noury
Se n’è parlato a Ginevra, a metà maggio, alla
riunione degli esperti della Convenzione sulle armi convenzionali.
Quello dei robot killer è un tema relativamente nuovo, ma la loro possibile discesa dagli scaffali dei blockbuster di Hollywood alla realtà ha subito messo in allarme le organizzazioni per i diritti umani, che hanno dato vita alla
Campagna Stop ai robot killer per chiedere una convenzione internazionale che li metta al bando.
Già diverse aziende negli Usa, nel Regno Unito, in Germania, Emirati arabi uniti, Israele, Giordania e Sudafrica, stanno progettando armi robotiche “meno letali” da utilizzare nelle operazioni di ordine pubblico, azionate da remoto o che si attivano automaticamente quando vengono sfiorate, rilasciando gas lacrimogeno, pallottole di plastica o dardi elettrificati.
Al momento, sistemi d’arma completamente autonomi non esistono ma i rapidi progressi nella tecnologia rischiano di colmare la “lacuna” in tempi brevi.
Per esempio, la BAE System ha realizzato
Taranis, la risposta britannica ai droni Usa. Taranis è progettato per compiere missioni intercontinentali a velocità superiore a quella del suono, senza essere visto dai radar e quasi completamente privo di coordinate impostate dall’uomo. Può essere equipaggiato con due contenitori d’arma, che possono rilasciare bombe o missili. Insomma, più robot killer che drone.
Atlas, invece, è un robot umanoide sviluppato dalla statunitense Boston Dynamics e finanziato dall’Agenzia per i programmi di ricerca avanzata della Difesa Usa. Come si legge sul
sito della Boston Dynamics, “Atlas può camminare su due piedi lasciando gli arti anteriori liberi di sollevare, trasportare e spostare oggetti. Su superfici estremamente sfidanti, Atlas è sufficientemente forte e coordinato da salire usando mani e piedi e da farsi largo in spazi ristretti. Mani articolate e sensibili rendono Atlas in grado di usare strumenti progettati per le mani dell’uomo”. Insomma, non è difficile immaginarlo con le armi in pugno.
Dalla prospettiva dei diritti umani, le armi robotiche letali e meno letali sono estremamente preoccupanti.
In primo luogo, l’uso di armi senza un effettivo ed efficace controllo dell’uomo aumenterebbe la probabilità di uccisioni illegali, sia in contesti di conflitto armato che di manifestazioni di piazza.
Inoltre, nonostante alcuni governi, aziende ed esperti di tecnologia siano ottimisti o addirittura certi, è difficile immaginare come i robot killer potrebbero essere “programmati” per rispettare il diritto internazionale. In situazioni di piazza, come farebbero a rispettare gli standard sull’uso della forza, a determinare le circostanze in cui di fronte a una minaccia imminente è legittimo aprire il fuoco? E in un contesto di guerra, come farebbero a rispettare le leggi di guerra e dunque a distinguere tra combattenti e civili, a minimizzare i danni alla popolazione civile, a stabilire la proporzionalità di un attacco?
Infine, attribuire a un robot il potere di vita o di morte su una persona oltrepassa una linea morale che dovrebbe essere invalicabile.
Le organizzazioni per i diritti umani sperano che a novembre, all’assemblea annuale sulla Convenzione sulle armi convenzionali, non prevalga la formula del “vediamo che succede”.
Rimanere in attesa porterebbe a ulteriori investimenti nello sviluppo dei robot killer, a una nuova corsa agli armamenti, a una discesa della nostra civiltà in una distopia fantascientifica.