“Due giorni, una notte” sulla perdita del lavoro, grande la Cotillard. Il punto è la solidarietà, solo da lì può ricominciare il cammino delle vittime della crisi, stritolate non solo dalla pressione economica, ma anche dalla perdita della dignità e della fiducia in se stesse. I fratelli Dardenne arrivano al Festival e, come sempre, ipotecano il Palmares con un film asciutto e potente, perfettamente nell’aria del tempo. Se Deux jours, une nuit non dovesse ottenere il premio più importante della rassegna ( gli autori hanno già vinto due Palme d’oro), di sicuro la protagonista Marion Cotillard, in scena dal primo all’ultimo attimo del racconto, con il fisico esile e lo sguardo pieno di dolore, entra, con molte chances, nella rosa delle possibili premiate per la migliore interpretazione. Operaia con problemi di depressione, insicura, febbrile, con le pillole per calmarsi sempre in borsa e i capelli raccolti alla meglio sulla nuca, l’attrice attraversa, nell’arco di un week-end, il panorama doloroso della recessione, un posto dove ognuno è spinto a pensare solo ai fatti propri, dimenticando il senso della comunità e della condivisione: «Siamo convinti che la solidarietà possa ancora esistere - dice Luc Dardenne dopo i calorosi applausi alla prima proiezione per la stampa - e il film parla proprio di questo». (http://www.lastampa.it/2014/05/21/spettacoli/festival-di-cannes/2014/dardenne-la-solidariet-ci-salver-dalla-crisi-D3gKBi43Un65uqYcuhKQlL/pagina.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter)

Fulvia Caprara

Ispirata a tanti fatti di cronaca degli ultimi anni, la storia di Deux jours, une nuit segue le mosse di Sandra, impegnata a riconquistare il posto dopo che i suoi datori di lavoro hanno garantito un premio di mille euro ai colleghi che voteranno in favore della riduzione di personale, ovvero per il suo licenziamento. Accanto alla protagonista, che lotta contro la voglia di rinunciare a tutto, anche alla vita, e che spesso crolla, abbattuta dallo stress e dall’ansia, c’è il marito Manu (Fabrizio Rongione), ci sono due figli piccoli, c’è l’amica che non l’ha mai abbandonata: «La solidarietà comporta un percorso - dicono i Dardenne -. Grazie al sostegno di queste persone, Sandra, alla fine, sarà trasformata, e potrà dire a se stessa di essersi battuta e di sentirsi, per questo, felice».

Per Cotillard, lanciatissima nel panorama hollywoodiano dopo l’Oscar per La vie en rose, lavorare con i Dardenne è stato come ricevere un regalo inatteso: «Non potevo credere che avessero pensato proprio a me, non sono il tipo di attrice con cui lavorano di solito». E invece i pluripremiati registi hanno voluto proprio lei: «Leggendo la sceneggiatura ho capito che il mio personaggio è quello di un’eroina dei nostri tempi e che per me, interpretarla, sarebbe stata una grossa sfida». Di casa in casa, di citofono in citofono, di bar in bar, Sandra compie la sua via crucis, qualcuno le sbatte la porta in faccia, qualcun’altro la abbraccia, tutti sono in imbarazzo, per il senso di colpa, per la paura delle ritorsioni, perchè non vogliono specchiarsi in una tragedia che è, in fondo, anche loro: «Sandra è una donna come tante, sa bene che tutto ha un costo e comprende anche le motivazioni di chi ha votato per il suo licenziamento in cambia di un bonus. Il film non formula giudizi ed è anche questa la sua forza».

Prima di girare, Cotillard si è preparata a lungo, «per cogliere l’energia del personaggio e il ritmo delle scene», ha cercato di acquistare un francese con accento belga e ha ripensato a notizie che l’avevano scioccata: «Mi ha colpito il fatto che, durante le riprese, i Dardenne citassero spesso gli spettatori. È una cosa che accade di rado... la prova che il loro cinema è fatto per parlare alle persone».

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