Non soluzioni tampone. Ma definitive. L'«emergenza» sbarchi va affrontata alla radice. Simmons di Amref spiega come. (http://www.lettera43.it/cronaca/naufragio-di-lampedusa-tommy-simmons-sulle-cause-della-migrazione_43675129334.htm)

Intervista di Claudia La Via

È un'odissea senza fine. Il mare che da salvezza si trasforma in condanna. Le nostre coste, protagoniste di continui sbarchi e testimoni di tragedie che non si riescono a evitare. Come il 12 maggio al largo di Lampedusa dove si è consumata l'ennesima strage di migranti. I barconi dei disperati in cerca di un futuro che arrivano dalle coste dell'Africa e provano a toccare terra, anche se non sempre ce la fanno.

IL RIMPALLO DI RESPONSABILITÀ. In mezzo ci sono le dispute internazionali e il gioco di accuse e giustificazioni; così come il rimpallo delle responsabilità fra istituzioni e autorità. C'è l'Italia che si trova a dover gestire un'onda umana di disperati, ci sono i cadaveri che galleggiano in mare e c'è l'Europa che si dice «sotto choc» dopo l'ennesima strage e promette misure che nel frattempo stentano ad arrivare.

L'OPERAZIONE MARE NOSTRUM. Intanto il nostro Paese ha deciso di rimboccarsi le maniche. Nel 2013, ha messo in moto l'operazione Mare Nostrum che impiega mezzi e uomini e costa oltre 300 mila euro al giorno per pattugliare il Mediterraneo. Ma non sembra bastare. Non solo perché il mare continua a restituire cadaveri di uomini, donne e bambini, ma anche perché così si argina il problema senza risolverlo.

UNICA SPERANZA: LA FUGA. Bisognerebbe piuttosto «guardare il fenomeno a partire dalle sue cause originarie», spiega a Lettera43.it Tommy Simmons, direttore e fondatore di Amref Italia, una organizzazione non governativa che lavora da quasi 60 anni in Africa. Del Continente, Simmons conosce le criticità e i forti cambiamenti sociali che la stanno lentamente trasformando in una terra da cui fuggire anche al costo della vita. E sostiene che i flussi migratori sono destinati ad aumentare esponenzialmente. Sia verso l'interno (da uno Stato all'altro) sia verso l'esterno.

Tommy Simmons è direttore e fondatore di Amref Italia.

DOMANDA. Cosa vuol dire guardare alle ragioni più profonde di queste ondate migratorie?

RISPOSTA. Significa accorgersi che dietro ci sono delle cause importanti: non solo l'insicurezza economica, ma anche i conflitti, le repressioni e le violenze.

D. Un'analisi a monte che spesso in Europa, e in Italia, viene messa in secondo piano. Presi come siamo dalla gestione 'pratica' dei flussi migratori.

R. Esatto, l'Europa è tutta concentrata sul tema dell'accoglienza di persone in fuga da violenza e povertà. Noi cerchiamo invece di capire cosa avviene all'interno del Continente.

D. E cosa sta succedendo?

R. Ci sono Paesi come l'Eritrea e la Somalia che vivono fasi di conflitto acute e di repressione. E ciò non permette a molta gente di continuare a vivere nelle proprie terre. Ma non solo.

D. Cioè?

R. Stiamo assistendo a un forte fenomeno di migrazioni interne da zone rurali a zone urbane perché le campagne spesso non sono più in grado di contenere una popolazione in crescita costante.

D. Come mai?

R. È colpa di un incremento demografico incontrollato che ha cambiato tanti equilibri negli ultimi 20 anni. Basti pensare che in Kenya ogni donna fa in media cinque figli.

D. Ma le città riescono ad assorbire questi enormi flussi?

R. No, infatti questo porta alla crescita e alla proliferazione di baraccopoli. Ambienti dove si sviluppa anche violenza urbana e povertà.

D. Una situazione sempre più difficile da controllare.

R. Sì, e a questo si aggiunge il fatto che solo in Kenya ci sono 500 mila profughi somali fuggiti dal Paese per via del conflitto. E non solo. Anche dalla Siria continuano ad arrivare profughi che scappano da condizioni di vita disperate.

D. E poi c'è il 'caso' Sud Sudan di cui pochi sembrano ricordarsi.

R. Del Sud Sudan non si parla o si parla troppo poco. Ma lì è in atto una vera e propria diaspora: su una popolazione di circa 10 milioni di persone 1 milione ha già lasciato le proprie case. E le risorse internazionali messe a disposizione non arrivano a coprire nemmeno il 30% dei fabbisogni della gente.

D. Un altro Paese per il quale l'unica speranza è la fuga...

R. È naturale per le famiglie andare a cercare un rifugio altrove. Chi decide di migrare, correndo enormi rischi, lo fa spinto dall'impossibilità di vivere serenamente con una prospettiva di crescita.

D. Quali sono gli scenari futuri?

R. Recenti studi sulla pressione demografiche in Africa hanno rivelato che da qui al 2050 ci saranno circa 500 milioni di giovani sotto i 14 anni in più rispetto al 2010.

D. Un dato che avrà ripercussioni pesanti.

R. Sì, infatti non dobbiamo solo focalizzarci sull'accoglienza, sulla tutela di chi scappa. Dobbiamo lavorare molto di più sulle cause e trovare la soluzione dei problemi alla radice.

D. In che modo?

R. Se l'Occidente vuole tutelarsi dalle attuali e future ondate migratorie la soluzione oltre ad 'accogliere' e assistere chi è in fuga per avere una speranza, è lavorare nel breve periodo sulla risoluzione dei conflitti.

D. Serve un cambio di mentalità dunque.

R. Non possiamo pensare solo agli sbarchi nel Mediterraneo.

D. In che senso?

R. Pensiamo alle 200 ragazze rapite in Nigeria. Chi vorrebbe crescere le proprie figlie in condizioni di forte rischio come in Paesi dove ci sono in atto fortissimi conflitti etnici e i pericoli per i giovani sono maggiori delle opportunità?

D. Spesso in Europa si pensa che se ci fossero più campi profughi in Africa pronti ad accogliere e convogliare chi fugge ci sarebbero meno morti in mare.

R. Ho visto con i miei occhi milioni di rifugiati e posso dire che le soluzioni non sono i campi. A volte per 20 anni intere famiglie vivono segregate all'interno di queste aree e ci sono bambini che nascono e crescono senza avere idea di cosa ci sia fuori. Né hanno mai conosciuto il proprio Paese d'origine. Non hanno radici e perdono la direzione.

D. Cosa si può fare allora?

R. Prima di tutto servono investimenti mirati in cooperazione e nel rafforzamento dei processi di pace. Anche se questo da solo non basta. Occorre guardare le cose dall'alto. E iniziare a pensare a domani. Non solo all'oggi.

D. Forse servono fatti più che parole.

R. Non ho soluzioni tecniche né conosco la ricetta per prevenire nuove stragi. Anzi, credo che queste tragedie continueranno a ripetersi anche in futuro però bisogna concentrarsi sulla vera sfida.

D. Quale?

R. Non dimenticarsi dell'Africa. Di chi resta, oltre che di chi è si è messo in viaggio su un barcone.

D. In che senso?

R. L'Africa è un continente in grado di camminare sulle sue gambe. Contiene già tutte le soluzioni ai suoi problemi.

D. Cioè?

R. Il nostro obiettivo, come Amref, è far emergere e rafforzare la risorsa più importante dell'Africa: gli africani. Per questo abbiamo messo in piedi una nuova campagna di comunicazione. L'obiettivo? Aiutare la gente a restare a casa sua, nel suo Paese.

D. E come?

R. Vogliamo dare loro gli strumenti per guardare avanti: abbandonare milioni di persone alla povertà e alla malattia di fatto vuol dire non lasciarle libere di vivere, se lo vogliono, nel loro Paese.

D. Così tragedie come quella di Lampedusa continueranno a ripetersi.

R. Sì.

D. Ma è un problema che deve riguardare tutti, non solo Italia ed Europa...

R. Basterebbe smettere di pensare solo a come salvare l'ennesimo barcone e fare quadrare i conti con i centri di accoglienza al collasso. Occorre iniziare a guardare al lungo periodo. Provando, a livello internazionale, a trovare una strada per risolvere i conflitti che attanagliano l'Africa. E spingono la sua gente a scappare. Suo malgrado.

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