Pianeta colf. Il lavoro domestico c’è, ma non si vede. Esiste, ma non fa notizia. Donne più o meno giovani lo animano, lavoratrici che non vedono un riconoscimento socio-economico del proprio lavoro quotidiano, bensì assistono impotenti alla ripetuta violazione dei propri diritti basilari. (
http://www.corrieredellemigrazioni.it/2014/05/11/sulle-donne-invisibili/)
Nel mercato del lavoro domestico è la donna ad avere un ruolo chiave: lavoro e genere sono due elementi centrali per un’analisi che voglia indagare, conoscere e descrivere un fenomeno divenuto parte integrante della nostra società.
In Italia la definizione dell’immaginario femminile appare, così come in altri Paesi, strettamente determinata e connessa alla presenza della donna in alcune nicchie di lavoro che ci si attende essa scelga e verso le quali orienti le sue aspirazioni. Ruoli subordinati, organizzativi, molto spesso ornamentali e carenti di esercizio di potere reale, ruoli di assistenza e di cura. Da ricordare come l’auto-rappresentazione dei popoli passi sempre attraverso la definizione dell’ideale femminile: il corpo della donna rappresenta il luogo per eccellenza della definizione etnica dell’identità collettiva. Al di là delle considerazioni soggettive e tralasciando un’analisi diffusamente polemica e dissacrante nei confronti di una società fortemente patriarcale, se non sempre nei discorsi dominanti certamente nella prassi, vorrei soffermarmi sugli ultimi due contesti di inserimento delle donne, quello della cura e dell’assistenza alla persona nell’ambito domestico, che vedono oggi una vera e propria redistribuzione sociale del lavoro da parte di donne autoctone nei confronti di donne straniere.
Una redistribuzione tra donne, ma non per questo tra pari: sebbene la crisi in atto abbia condotto all’appiattimento verso il basso dei redditi, coloro che hanno la possibilità di assumere un altro essere umano alle proprie dipendenze possiedono dalla propria la forza della concessione del lavoro e del salario, degli strumenti fondamentali per una sopravvivenza psico-fisica nella società. Donne che scelgono altre donne con obiettivo la cura della casa, l’assistenza del malato, del figlio del padre anziano, dei membri di una famiglia che necessita di un supporto esterno per la soddisfazione di quei bisogni di cura e assistenza di cui sempre la donna si è presa carico, almeno nella tradizione italiana. Se da un lato il passaggio di potere tra donne addossa tutto il peso del lavoro domestico e di assistenza sulla straniera, relegando alla “padrona autoctona” il potere/diritto di controllo e godimento dei frutti dell’amore “curato” dalla lavoratrice, al contempo è possibile un forte attaccamento dei soggetti affidati alla donna/Altra: le tipologie di legame e relazione che si vengono a creare sono le più diverse, trattandosi della redistribuzione sociale di una mansione lavorativa che ha a che fare con la cura, con l’amore. Un amore di cui spesso vengono private altre famiglie, le famiglie delle straniere: ancora una volta una redistribuzione che produce diseguaglianze.
La domanda di amore, cura ed assistenza non vede crisi, anzi. In controtendenza con la compressione della domanda generale nel mercato del lavoro attraversato dalla crisi, gli ambiti del lavoro domestico, sia esso inteso come cura della casa o assistenza alle persone, si caratterizza per fabbisogni non comprimibili. A ciò da aggiungere l’invecchiamento della popolazione e l’aumento di patologie invalidanti: nonostante alcune donne italiane, a causa delle perdita del lavoro, sono rifluite nei servizi domestici o hanno ripreso in carico anziani e bambini, ciò non è assolutamente vero per i lavori più pesanti, come l’accudimento di anziani sulle 24 ore, in regime di convivenza. Settore nel quale le donne immigrate sono divenute necessarie. Indispensabili.
Nonostante la presenza e la necessità delle lavoratrici domestiche straniere, solo nel gennaio 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione 189 dell’Ilo (2011) e la relativa Raccomandazione sulla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori domestici, impegnandosi così nell’azione di rispetto dei diritti fondamentali di questa categoria di lavoratori. La Convenzione ha il pregio di riconoscere finalmente il lavoro domestico e quindi la figura del lavoratore domestico che viene equiparato alle altre categorie di lavoratori, sebbene con un primo limite evidente, poiché solo chi svolge un lavoro domestico non occasionale può rientrare nella categoria. Condizione che esclude un gran numero di lavoratori dalla definizione e quindi dalla tutela.
Nel luglio 2013 l’azione congiunta di sindacati dei lavoratori domestici e datori di lavoro ha permesso la definizione del Contratto Nazionale di Lavoro per il personale domestico e di assistenza alla persona: si tratta di uno strumento della validità di 3 anni che racchiude limiti evidenti, ma garantisce almeno sulla carta un’iniziale tutela delle lavoratrici domestiche.
Interessante, ma non realisticamente attuabile, la previsione di una sindacalizzazione delle lavoratrici domestiche: si prevedono infatti una serie di permessi sindacali, ma non azioni positive per favorire la conoscenza delle strutture di tutela e la stessa partecipazione.
Trattandosi di lavori che isolano il soggetto, una reale azione del sindacato e partecipazione della lavoratrice appaiono al momento azioni difficilmente realizzabili.
Per ciò che concerne il salario, uno degli aspetti su cui bisogna riflettere è il basso requisito e le ridotte competenze formalmente richiesti per lo svolgimento delle attività domestiche, condizione che non giustificherebbe salari più elevati, così come le trattenute legate al vitto e all’alloggio laddove si verifichi la convivenza tra datore di lavoro e lavoratrice: nella maggioranza dei casi esaminati dal rapporto dell’Ilo “Ilo, Domestic Workers Across the World: Global and regional statistics and the extent of legal protection, 2010” non viene garantito il salario minimo, elemento necessario per godere di un’esistenza dignitosa.
La creazione di un Ente bilaterale nazionale, con obiettivo l’implementazione di un osservatorio il cui compito è effettuare analisi e studi sulle condizioni di trattamento dei lavoratori domestici, attraverso un accurato lavoro realizzato sul campo, è una previsione contenuta nel Ccnl, ma per ora inattuata. Misura fondamentale al fine di pensare ed agire politiche pubbliche realmente volte alla regolarizzazione del fenomeno.
Il nuovo Ccnl stabilisce l’obbligo di retribuzione nel periodo di prova, la regolamentazione dell’orario di lavoro, il diritto alla studio, il diritto ad un ambiente di lavoro salubre, sebbene grande assente sia la riforma dei Centri per l’impiego: la completa inefficacia dei Cpi, sommata allo sfruttamento ed approfittamento messo in atto dalle agenzie per il lavoro, luoghi di sfruttamento legalizzato, rendono tale assenza ingiustificabile.
Finora ho citato le “lavoratrici domestiche”, usando dunque un’accezione di genere, poiché la percentuale di donne nel segmento del mercato è dominante. Proprio per tale ragione, centrale è la tutela della maternità che esce debole dalla discussione tra le parti sociali.
Ancora più clamorosa la mancanza di un articolo concernente la violenza sulle donne, un nodo che non può considerarsi risolto facendo appello al diritto ad un ambiente salubre o alla legge sul femminicidio, peraltro carente e controversa nella sua tutela della donna, ancora una volta definita esplicitamente o tra le righe soggetto debole.
La ricezione italiana appare, a parere di chi scrive, non solo incompleta, bensì a tratti mal pensata: certamente i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici domestiche in Italia sono all’inizio della definizione, ma rappresentano e rappresenteranno sempre di più tema cruciale da cui ripartire per una ri-affermazione dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici. Liberare le lavoratrici dal giogo del lavoro privo di garanzie e diritti (leggi sfruttamento) è il primo passo, sebbene la Bossi-Fini ed i successivi Pacchetti Sicurezza e le regolarizzazioni controllate e discrezionali abbiano indebolito ulteriormente queste lavoratrici doppiamente discriminate, il cui trattamento è ancora troppo spesso relegato alla volontà del “padrone”.
Lavoro e immigrazione dunque. Due temi ormai strettamente connessi. Due nodi intersecati che non posso essere slegati, un’azione sincronizzata nata da un’analisi olistica e critica.
Giulia Giraudo