Ad aprile scorso abbiamo affrontato insieme a Maria Cristina Antonucci, ricercatrice del Cnr, il tema di come rendere più efficace la rappresentanza del volontariato nei confronti dei decisori collettivi e pubblici. (http://pluraliweb.cesvot.it/come-difendere-diritti-dei-piu-deboli?utm_source=NL_pweb&utm_medium=newsletter&utm_campaign=pwebMAG-14)

di Federico Gelli

Si è parlato di capacità di fare lobbying, cioè della capacità di “esercitare pressione a favore di un interesse particolare”. Nel caso del volontariato, e del terzo settore in genere, l’obiettivo non coincide con il profitto ma con la tutela degli interessi delle parti sociali più deboli e vulnerabili.

L’argomento è “caldo” ed è necessario affrontarlo senza retorica: il volontariato fa parte di un settore più ampio e complesso, non scevro da incoerenze. Al proposito ricordiamo la dura analisi del terzo settore proposta da Giovanni Moro nel suo ultimo libro “Contro il non profit”. In una ambito tanto eterogeneo quali battaglie e quali interessi sono obiettivi comuni e prioritari?

Inoltre, vista la frammentazione degli enti del terzo settore, la rappresentanza è stata svolta prevalentemente dagli organismi di secondo e terzo livello. E‘ ancora adeguata? La rappresentanza di sistema, come nel caso del Forum del Terzo settore, riesce ad individuare interessi sociali secondo priorità condivise? E, in caso affermativo, questo percorso risulta efficace?

Recenti ricerche, svolte per conto di Cesvot da UniTs-Università del Terzo Settore e Università di Siena (in corso di pubblicazione), confermano che vi è una difficoltà enorme, da parte dei soggetti del Terzo settore, ad esprimere una lettura d’insieme ed a porsi come soggetto “collettivo”. E’ per questo che la dimensione politica del volontariato “sfuma”, non viene percepita e risulta poco incisiva. Le attività dei tanti “volontariati” necessitano di una rappresentazione di “insieme”: di soggetti e di istanze sociali, se pur diversi tra di loro.

Condivido le parole di Riccardo Bonacina con le quali, a gennaio scorso, aveva salutato il nuovo anno: “Caro Terzo settore, che fatica chiamarti con questo nomignolo che non nomina più la realtà e neppure la sua rappresentazione e rappresentanza, credo che nel 2014 eviterò di usarlo ancora. Sono stufo di usare una definizione che non definisce se non per sottrazione (non profit) o per differenziazione (tra Stato e Mercato). Forse è anche per questo, caro Terzo settore che ti sei ammalato, perdendo voce, spinta, interesse alle cose del mondo”.

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