Uno studio firmato Grosvenor, dedicato alle metropoli mondiali e al loro rapporto con le sfide climatiche, demografiche e culturali, lancia l’allarme: l’Europa non è pronta. (http://www.wired.it/attualita/ambiente/2014/05/06/resilienza-usciti-da-una-crisi-precipiteremo-unaltra/?utm_source=twitter.com&utm_medium=marketing&utm_campaign=wired)

Simone Cosimi

Quanto riusciremo a rimanere in equilibrio sul filo di un pianeta che borbotta? Le dinamiche non future, ma che viviamo proprio in questo momento, ci piazzano di fronte a sfide incalcolabili. Climatiche e demografiche ma anche sociali e culturali, legate agli stili di vita e alle decise scelte politiche che questi cambiamenti pretendono. Soprattutto per quello che riguarda l’urbanizzazione.

Ne avevo parlato qualche tempo fa: entro il 2024 avremo nel mondo almeno 35 megacittà, cioè centri con oltre 10 milioni di abitanti. Con punte mostruose come Tokyo, che toccherà i 40 milioni, o Nuova Delhi che si fermerà a 33. E in generale, secondo le stime dell’Onu, serviranno appena una ventina di anni in più per completare la transumanza umana: due terzi degli abitanti abiteranno infatti nelle metropoli. Con tutte le conseguenze in termini di risorse e organizzazione.

Chi ce la farà? Quali città cambieranno la geografia del pianeta in base al loro elevato tasso di resilienza, cioè la capacità di evitare o recuperare da eventi catastrofici o epocali, adattandosi prima e dopo a quanto accadrà? Prova a rispondere un interessante rapporto della società internazionale d’investimenti immobiliari Grosvenor con una doppia classifica: quella delle 50 città più resilienti e quella delle 50 più vulnerabili. Non è un film catastrofista alla Emmerich, è una valutazione molto seria – realizzata per evitare di perdere quattrini comprando nel posto sbagliato – basata su cinque categorie di vulnerabilità e altrettante di capacità adattive. Fra le prime ci sono clima, ambiente, risorse, infrastrutture e comunità, fra le seconde governance, istituzioni, capacità tecniche, sistema di pianificazione e finanziamenti. La notizia è che per l’Europa è allarme rosso.

La marginalizzazione dei sistemi economici, in particolare la progressiva perdita di centralità dello scenario europeo, passa infatti anche da qui. Non solo da fisco, competitività, tempi della giustizia e tutti gli altri punti deboli di molti Paesi del Vecchio Continente, fra cui il nostro. Riguarda in realtà anche il modo in cui un certo quadrante del mondo riuscirà a cavarsela rispetto agli eventi, più o meno incisivi, che si svilupperanno. Non solo quelli indotti dai sempre più violenti fenomeni meteorologici (solo per rimanere entro i confini, il Paese ci smotta sotto i piedi) ma anche, per esempio, migratori. Tema che tocca da vicino l’Italia e che nove volte su dieci vene utilizzato come ring di bassissimo livello elettorale. Insomma, la velocità e l’efficacia con cui riusciremo a mutare vocazione ai territori, ridurre gli sprechi, parlare una lingua davvero smart fuori dall’irritante frasario del marketing.

Non è un caso che in vetta alla top ten dei centri più resilienti ci siano ben tre città canadesi (Toronto, Vancouver e Calgary) e cinque statunitensi (in ordine: Chicago, Pittsburgh, Boston, Washington D.C. e Atlanta). Dalle nostre parti si salvano solo Stoccolma e Zurigo. Il resto delle metropoli europee annaspa a metà classifica: Amsterdam 12esima, Londra 18esima, Parigi 23esima, Madrid 32esima. E l’Italia? Milano arriva alla piazza 33, di Roma non c’è traccia. Fine.
Che significa? Una considerazione semplice e spaventosa. E cioè che appena usciti da una crisi, ammesso che si riesca a venirne fuori a tassi di crescita dello zerovirgola, rischiamo di precipitare in un’altra. Ancora più spietata perché i inchioderà a tutte le risposte che non abbiamo dato nei tempi giusti. Prima perché non ci pensavamo abbastanza, più tardi proprio perché eravamo impegnati – con strumenti a dir poco discutibili – a superare una situazione di stallo economico innescato dall’avvelenamento dei pozzi finanziari. Un circolo vizioso, insomma, che riguarda anche gli investimenti in innovazione.

Come è evidente, infatti, gli ingredienti che consentono a una città di aumentare le proprie qualità camaleontiche in vista delle sfide che si nascondono dietro l’angolo sono quasi tutti legati alla nostra capacità di decisione e di governo: dalle scelte politiche, che dovrebbero sempre puntare al lungo periodo (difficile farlo con esecutivi che durano in media poco più di un anno), alle capacità tecniche acquisibili attraverso network internazionali di scambio di conoscenze fino a quelle di pianificazione, come l’uso del territorio in base ai parametri di rischio o la presenza di piani d’emergenza testati. Non è vero che le elezioni europee sono inutili: il nostro voto dovrebbe guardare anche a chi incarna meglio (o meno peggio?) questi parametri. Dobbiamo imparare a piegarci per non spezzarci.

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