Intersos in Sud Sudan e Repubblica Centrafricana tra barbarie e azione umanitaria. Gli operatori umanitari impegnati con l’ONG italiana INTERSOS in Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, denunciano le atrocità ai danni delle popolazione civile e degli operatori umanitari di cui sono stati testimoni negli ultimi giorni.
In Sud Sudan, il 15 aprile, a pochi giorni dal massacro di oltre 60 civili avvenuto nel campo sfollati di Bor, un altro attacco a Bentiu, città dello stato dello Unity, un’area ricchissima di petrolio, ha provocato oltre 200 vittime civili: la violenza, incitata da folli messaggi di odio trasmessi dalle radio locali, non ha risparmiato neppure ospedali e luoghi di culto dove la gente aveva cercato rifugio.
Il 27 aprile, un convoglio umanitario partito il giorno prima da Bangui, in Repubblica Centrafricana, è stato ripetutamente attaccato. Il convoglio, composto da 18 autocarri, trasportava al campo per sfollati allestito a Kabo e Moyenne Sido, nel nord del paese, 1.300 persone, tutti musulmani in fuga dalle violenze che tormentano da mesi la capitale. Nel tardo pomeriggio, il convoglio e’ stato colpito da una granata presumibilmente lanciata da miliziani anti-Balaka, a circa 30 km da Sibut. Il giorno dopo, verso mezzogiorno, uomini armati hanno assaltato nuovamente il convoglio: “Sono arrivati dalla boscaglia e hanno iniziato a fare fuoco sul convoglio. Prima hanno sparato sui camion, miravano ai civili, tra cui c’erano donne e bambini, poi hanno fatto fuoco sulle macchine. Quando siamo arrivati a Kabo, dopo 3 giorni, la gente era stremata, li abbiamo aiutati a scendere dai camion uno ad uno” racconta Giuseppe Linardi, operatore di INTERSOS che era bordo del convoglio per assistere le famiglie di sfollati.
INTERSOS esprime grande preoccupazione per la situazione attuale in Sud Sudan e in Repubblica Centrafricana: è ormai chiaro che i bisogni umanitari non cesseranno di crescere e le condizioni di vita sia degli sfollati all’interno dei campi sia di quelli che sono fuggiti lontano dai loro villaggi sono destinate a peggiorare.
Diventa sempre più difficile operare perché l’assistenza e la protezione umanitaria fornite a persone rifugiate in luoghi controllati da una o dall’altra parte delle forze belligeranti, rischia di far associare l’attività umanitaria come schierata e di parte.
“Le organizzazioni umanitarie cercano in tutti i modi di non aver nessun ruolo nelle dinamiche belliche in atto. Si trovano in mezzo ai conflitti per salvare vite e alleviare le sofferenze dei civili, ma quando questo diventa impossibile, quando agli operatori non resta che seppellire le salme delle vittime come a Bor nei giorni scorsi, quando non basta portare aiuto urgente perché le persone che si prova a mettere in salvo vengono strappate alle loro famiglie e uccise, la presenza degli operatori umanitari diventa inutile per la popolazione in pericolo.Noi chiediamo che tutti i gruppi armati e il governo di transizione si assumano le loro responsabilità per proteggere la popolazione.
Oggi INTERSOS e altre organizzazioni riescono a operare nel mezzo dei conflitti perché agiscono con il solo obiettivo di portare aiuti sulla base del bisogno, a coloro che non sono parte attiva del conflitto; ai civili, parte inerme, sempre più spesso e più tragicamente trascinata nelle violenze o obiettivo delle stesse per scopi militari, etnici, religiosi, politici” commenta, Marcelo Garcia dalla Costa, Coordinatore Unità Programmi INTERSOS. “La responsabilità della protezione dei propri civili ricade sullo Stato, ma in Sud Sudan e in Repubblica Centrafricana, così come in altri conflitti in corso con catastrofiche conseguenze umanitarie, le parti belligeranti hanno perso la misura delle conseguenze delle loro azioni. Hanno perso la consapevolezza dei danni collaterali dei loro interventi, hanno perso il controllo delle azioni di gruppi miliziani a loro associati, degli obiettivi delle loro azioni aprendo la strada a violenza dilagante che non risparmia o addirittura prende come obiettivo donne, anziani e bambini con frequenza allucinante. In tali situazioni, solo l’attenzione e l’azione della comunità internazionale possono essere determinanti. La comunità internazionale deve essere convinta e risoluta a trovare e imporre la soluzione agli elementi che alimentano le violenze e l’odio e deve agire distinguendo, caso per caso, l’impatto immediato della propria azione dalle sue conseguenze future.
Quando gli stati falliscono nel mandato di protezione dei propri civili, la comunità internazionale deve assumersi le responsabilità e scegliere quale azione portare avanti, ma non è possibile lasciare alle organizzazioni umanitarie un continuo ruolo di appello perché testimoni di quel che accade. La situazione è da tempo sotto gli occhi di tutti e ora le organizzazioni umanitarie possono certamente dare dei punti di vista, esprimere opinioni sulla base di presenza e esperienza, ma non devono e non possono assumersi un ruolo non loro. Minerebbero nel profondo e con conseguenze serie la loro capacità di intervenire portando aiuto a supporto dei civili. Verrebbero associate a una o più delle parti in conflitto e verrebbero giudicate come guidate da un interesse politico e non umanitario.”
Le popolazioni di Sud Sudan e Repubblica Centroafricana vivevano condizioni umanitarie già devastanti prima delle attuali implosioni nella violenza e l’ulteriore carico di morte e sofferenza rischia di indebolirle oltre i limiti di una possibile ripresa. La comunità internazionale oggi deve dare priorità all’immediata cessazione delle ostilità, intercettare l’approvvigionamento d’armamenti, concentrare verso la protezione dei civili il mandato delle missioni di peacekeeping. Per quanto riguarda il Sud Sudan, l’imminente Summit di Oslo previsto per il 20 maggio, sarà un’occasione fondamentale.