“Trasformare l’economia”: su questo tema ha parlato Roberto Mancini, filosofo (Università di Macerata e Università della Svizzera Italiana), nel ciclo “Economia e dignità” presso il Circolo dei lettori lo scorso mese. Qui trascriviamo appunti sintetici dall’ascolto, a cura di Enrico Peyretti. (
http://www.unimondo.org/Guide/Economia/Finanza/Per-dignita.-Trasformare-l-economia-145654)
Non si propone qui una tecnica, ma una logica dell’
economia, tale che sia un’alternativa di sistema. Oggi vige un falso “principio di realtà”: la società è un mercato globale. I popolo sono ridotti a popolazioni, fatti biologici, e devono adattarsi. Tentiamo qui una mappa del percorso di cambiamento, di uscita dal capitalismo: né riforme, né rivoluzione, ma un percorso di trasformazione.
Le riforme sono adattamento al sistema, come immodificabile: così il centro-sinistra. Larivoluzione, parola bloccata, è cambiamento repentino, affidato alla violenza. Non libera e non innova. Il lessico non ha parola per il cambiamento strutturale. Propongo “trasformazione”. Oggi abbiamo una “società di mercato”, non solo una economia di mercato. La società intera è ridotta a infrastruttura del mercato. Il mercato è oggi l’istituzione oggettiva della competizione. Dunque il mercato è
guerra, è non-reciprocità. La guerra si fa con l’economia. Competere significa sconfiggere.
Il mercato è ridotto a
finanza. 146 enti sono il cuore del sistema, il nucleo distante dall’economia reale. La finanza è 60 volte l’economia reale. C’è un’alternativa: o capitalismo, o economia di servizio ai bisogni umani. Il capitalismo finanziario è un parassita, svincolato da ogni legge. Oggi, imprenditori e proletari si trovano insieme di fronte ai gruppi speculativi.
Crisi è parola ideologica. Crisi non è una parola onesta, non è un’anomalia superabile: è un progetto per sostituire il mercato finanziario alla
democrazia. L’ideologia è questa: la finanza produce ricchezza, la vita e attività delle società sono un costo.
In democrazia devono esserci alternative. Nel 900 c’era un pensiero alternativo. Oggi manca una lettura critica. Con “crisi” diciamo sia gli effetti sia la causa. Dicevamo “sviluppo” quando era solo nostro, e il mondo colonizzato soffriva. Oggi parliamo di “crisi” solo per noi. Il cataclisma sociale è dato da una energia più cattiva informazione. Non si tratta di crisi, ma di fallimento. È la vittoria dei ricchi, piccolissima minoranza nel mondo. «L’unico rischio per loro è che i popoli prendano coscienza» (dice un dirigente della Deutsche Bank).
L’Europa, l’Occidente, questa indubbia civiltà, ha partorito le dittature del 900, e questa economia fallimentare. Come mai? Perché ha creduto nel potere, non nella giustizia e civiltà. Ha individuato il potere del denaro come la massima forma di potere. Ci ha fatti competitivi, flessibili, veloci. C’è una parte benefica della parola “fallimento”: prendere coscienza che il sistema produce danni, diseguaglianza, distruzione del pianeta. Ha prodotto tanti beni materiali, ma a questoprezzo fallimentare. Occorre un’altra cultura, una presa di coscienza collettiva. Bisogna lavorare oggi per domani. Vedo tre passaggi.
1 – Occorrono nuovi concetti, un lavoro filosofico per apprendere diversamente il proprio tempo, disapprendere i concetti del dominio. Bisogna pensare altrimenti. La “meritocrazia” è antitesi dei diritti originari della persona, che non si meritano, ma spettano: cura della salute, istruzione, informazione, …
2 – Il turbocapitalismo agisce a tre livelli: 1) livello visibile, l’economia operativa; 2) livello culturale globale, in cui esso diventa la nostra percezione della realtà sociale: imprime l’idea che il cemento della società è la competizione; invece la vita è cooperazione! Si tratta per noi di disattivare quella idea distruttiva; 3) il capitalismo come “mito” (nel senso di Panikkar), cioè unaintuizione originaria pre-comprensiva, inglobante, della condizione umana, che alimenta l’ideologia della competizione.
Esaminiamo questo mito. Esso afferma: a) l’uomo è egoista, aggressivo, calcolatore «per natura». Invece l’uomo trasforma la propria natura; b) la natura è avara, è scarsità, perciò la lotta! ; c) la verità della vita è la morte: non è un esistere, ma un sopravvivere, rinviando nel tempo la morte, scaricandola sugli altri, come nemici. In questo mito, la morte è l’orizzonte della vita. d) il capitalismo non è ateo come il comunismo sovietico, rispetta Dio e la religione, ma lo pone lontano, dove non si occupa di noi, che per sopravvivere dobbiamo lottare da soli. Già per gli antichi politeisti la vita è abbandono da parte degli dei, perciò lotta e competizione.
Dunque, il cambiamento che occorre è spirituale: ciò non significa religioso, in una o altra religione; significa cambiamento del senso dell’esistenza umana: un cambiamento primario, viene prima di tutto.
Per questo l’Occidente entri in dialogo con le altre antropologie sapienti. La globalizzazione è un accentramento, che ha diviso, non unito l’umanità. Una diversa idea umana può venire dall’ascolto delle altre culture. Nessuna grande cultura al mondo riduce l’uomo all’homo oeconomicus.
Vediamo 5 tratti di una antropologia più degna: 1) unicità: ogni essere umano ha un valore unico, mai strumento; 2) relazionalità: nessuno è sradicato dagli altri; l’Occidente si è fondato invece sulla identità. Noi cristiani diciamo “persona”, ma intendiamo “io”, dimenticando l’altro; 3)apertura all’infinito: non siamo un «essere per la morte»; in tutte le culture c’è questa apertura; 4) integrità, per poter essere coscienza del creato (nel pensiero cinese l’uomo è matrimonio tra cielo e terra); 5) responsabilità: l’abbiamo posposta alla libertà.
Altra svolta di metodo operativo economico. Qui si tratta di pratiche, non solo di modelli teorici.
1 – Relazioni di dono (non vuol dire regalo), cioè relazione che ci lega: non esclusione; opera di riconoscimento. Lo scambio non è reciprocità, è vantaggio. È impersonale. La relazione è cura, empatia, ben più che scambio. Poi è utile anche lo scambio, ma radicato nella coscienza collettiva. Il puro scambio è guerra.
2 – L’economia islamica vieta il prestito a interesse. Ebrei e cristiani hanno distinto l’usura dall’interesse: per l’”aiuto” (dall’alto, gerarchico) occorre denaro, perciò interesse. La tradizione islamica nega che il denaro possa venire da denaro (divieto delle lotterie, …), ma solo dal lavoro.
Adriano Olivetti pensò una economia di comunità. La bio-economia, per rispettare il secondo principio della termodinamica, deve farsi compatibile coi vincoli naturali: perciò armonia, non sviluppo; e con le leggi sociali: perciò relazione, non competizione. Altre esperienze nuove, modelli operativi: economia di comunione, economia di cooperazione, dove il profitto è uno strumento, non un fine. Servono economisti critici e costruttivi.
3 – Per una svolta culturale-politica, alcune indicazioni: 1) sviluppo della democrazia, in temporanea alleanza e compromesso col capitalismo. Ma il fondamento della comunità umana è la dignità. Il costituzionalismo è questa filosofia politica della dignità. 2) Il bene comune: non solo i beni comuni, da sottrarre a questo mercato. “Bene” è ciò che accomuna tutti, da riconoscere. È giustizia (restitutiva, riparativa) che risana le situazioni. La giustizia è il metodo della politica.
Tutto ciò è forse utopismo? È assai più utopistico, impossibile, «agganciare il treno della ripresa», come si ripete in giro, perché la crisi è fallimento.
4 – Il mutamento è anzitutto personale e sociale: 1) forme di vita dove contano le persone più dei ruoli, zone franche dal principio di competizione; 2) ruolo della conoscenza critica; 3) percorsi educativi critici, dalla grammatica affettiva alla educazione solidale; 4) anche un progetto politico verso un’altra organizzazione sociale.
La grande sofferenza sociale di oggi sia come le doglie del parto da una società di mercato a una società della dignità umana.