In Iraq il peggior periodo di violenza dal 2008. La testimonianza del dott. Ali Al-Ani, chirurgo ortopedico ad Amman.
30 aprile 2014 – La violenza nella provincia di Anbar, nella zona occidentale dell’Iraq, ha costretto circa 380.000 persone a fuggire dalle loro case. Nell’ultimo mese, più di 18.000 persone hanno cercato rifugio a Tikrit, la capitale della vicina provincia di Salah al-Din. Nonostante le mutevoli condizioni di sicurezza a Tikrit, un’équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) sta fornendo agli sfollati beni di primo soccorso e valutando i loro bisogni medici.
La maggior parte delle persone che arrivano a Tikrit sono donne e bambini. Molti richiedono cure mediche per ferite o ustioni, o soffrono di stress psicologico causato dal conflitto continuo. Nonostante gli sforzi della comunità locale per accogliere i nuovi arrivati, molti stanno affrontando condizioni di vita molto dure, scarsità di cibo e limitato accesso alle cure mediche.
“Le persone arrivano con pochissimi averi”, dichiara Fabio Forgione, Capo missione per MSF in Iraq. “La maggior parte si è rifugiata nelle scuole e nelle moschee abbandonate. Il fatto che probabilmente saranno sfollati per un certo periodo di tempo peggiora le loro già difficili condizioni di vita.”
A Tikrit l’équipe di MSF sta lavorando con le autorità locali, religiose e i leader comunitari per distribuire coperte e kit per l’igiene a 15.000 sfollati, mentre pianificano come rispondere al meglio ai loro bisogni medici in un contesto estremamente insicuro.
“L’accesso all’area rimane la sfida maggiore nella fornitura di aiuti” dichiara Forgione. “Le condizioni di sicurezza sono molto variabili, cosa che rende per noi molto difficile organizzare la distribuzione dei beni di soccorso. Assicurare la presenza permanente delle nostre équipe è stata una vera sfida.”
La provincia di Anbar, in particolare intorno alle città di Fallujah e Ramadi, è stata colpita da un’ondata di scontri iniziati alla fine dello scorso anno, mentre l’Iraq sta vivendo il periodo di peggior violenza dal 2008.
Le migliaia di persone recentemente sfollate dalle loro case si aggiungono agli 1,1 milioni di sfollati iracheni che non sono ancora tornati nelle proprie aree di provenienza, a causa delle devastazioni causate dal picco di violenza del 2006-2008.
Nonostante il conflitto in corso in Iraq, che ha reso il lavoro delle organizzazioni umanitarie nel paese molto difficile, MSF si sforza per continuare a fornire assistenza medica agli iracheni. MSF lavora in Iraq dal 2006. Per garantire la propria indipendenza, MSF non accetta fondi da nessun governo, comitato religioso o agenzia internazionale per finanziare i propri programmi in Iraq e si affida solo alle donazioni private per portare avanti il proprio lavoro.
Ad Amman dal 2006, più di 2.000 vittime di violenza provenienti da tutto il paese (297 solo da Anbar) hanno ricevuto il supporto del progetto di chirurgia ricostruttiva di MSF che offre interventi di chirurgia ortopedica, maxillofacciale e plastica ma anche fisioterapia e supporto psicosociale, così come l’alloggio durante il ricovero dei pazienti.
Testimonianza del Dr. Ali Al-Ani, Chirurgo Ortopedico, Progetto di chirurgia ricostruttiva di Amman.
- Raccontaci di te e del tuo ruolo nel Progetto di Amman
Mi chiamo Ali Al-Ani e sono iracheno. Mi sono trasferito dall’Iraq ad Amman nel 2005 a causa delle condizioni di insicurezza in Iraq, così pericolose da rendere impossibile una vita normale. Ho iniziato a lavorare al progetto come chirurgo ortopedico nel 2007.
- Che tipo di pazienti vedi?
I nostri pazienti sono vittime del conflitto nella regione. Per i primi due anni del progetto, abbiamo ricevuto solo pazienti dall’Iraq. Nel 2008, ci siamo ingranditi e abbiamo iniziato ad accogliere pazienti da altri paesi colpiti dalla violenza nella regione, come Gaza, Yemen e Siria. La maggior parte dei casi con i quali abbiamo a che fare sono complessi.
- Che tipo di casi sono accettati dal Progetto?
I nostri criteri di selezione coprono tre specialità: chirurgia ortopedica, maxillofacciale e plastica. Molti dei nostri pazienti hanno infezioni ossee, richiedono trattamenti lunghi e complessi. Riceviamo anche pazienti le cui fratture non si sono completamente e correttamente saldate, con o senza perdita di tessuti molli, così come pazienti con perdita di tessuto osseo, lesioni nervose, e deformità fisiche come conseguenza di trattamenti errati o incompleti.
Vista la natura delle ferite legate al conflitto, ogni caso nuovo è una sfida e ogni paziente ferito è diverso dall’altro.
- Il tuo lavoro ti colpisce personalmente?
Sono un chirurgo, ma come essere umano vengo colpito da ciò che vedo durante il mio lavoro. Sono addolorato quando mi trovo faccia a faccia con bambini innocenti e anziani e donne le cui vite sono state cambiate per sempre da un conflitto causato dagli uomini. Tuttavia come chirurgo, sono nella posizione di poter curare queste persone vulnerabili, per farle sorridere e ritrovare un senso di indipendenza. Mi sento orgoglioso che questo progetto abbia alleviato le sofferenze di molti pazienti, ricostruendo i loro corpi feriti e aiutandoli a riacquistare funzionalità. Specialmente le sofferenze di coloro che, se non fossero stati trasferiti qui, non avrebbero avuto la possibilità di permettersi queste cure.
Ogni paziente ha la sua storia, di una vita colpita dalla guerra.
Ma la storia di un bambino iracheno di sette anni che è stato ricoverato al progetto nel 2009 mi ha colpito più di tutte.
Wael stava andando a visitare suo nonno, sulla strada è esplosa una bomba. Sua madre muore e Wael viene gravemente ferito. Perde la sua gamba destra e la sinistra viene gravemente danneggiata. Nonostante la complessità degli interventi, durante il corso delle varie operazioni l’équipe chirurgica è stata in grado di ricostruire la sua gamba abbastanza da poter sopportare il peso del corpo, per attaccare la protesi, e per fare in modo che Wael possa camminare di nuovo.
- Che difficoltà affrontano i pazienti che tornano dall’Iraq?
La difficoltà principale è l’accesso ai trattamenti post-operatori una volta tornati a casa. Questo include supporto psicosociale e fisioterapia. Nonostante cerchiamo di ultimare il trattamento ad Amman, queste ferite spesso richiedono chirurgia di follow-up e questo è un grande problema.
- Quali sono le tue speranze per il futuro del progetto?
Il progetto è stato ampliato considerevolmente dal 2006, e abbiamo piani molto positivi per il futuro. Presto ci sposteremo in una nuova struttura che migliorerà la qualità delle cure e aumenterà la capacità tecnica e lo scopo del progetto. Questo ci permetterà anche di svolgere nuovi tipi di chirurgia.