Lavoro migrante in agricoltura: emergenza o modo di produzione? Gli schiavi e i caporali. Gli africani “poverini”. Le tendopoli e l’accoglienza. Una retorica paternalista che nasconde i veri invisibili della campagne. I migranti sono ripresi, fotografati, raccontati. Le multinazionali no. Eppure quello del Sud Europa è un vero modo di produzione: sfruttamento estremo, migranti ricattabili. E costi bassi. (
http://www.terrelibere.org/7574-i-veri-invisibili-delle-campagne-multinazionali-e-grande-distribuzione/)
Antonello Mangano
Sembra di leggere sempre lo stesso articolo. Gli schiavi, i disperati, i caporali e i clandestini. La questione del lavoro migrante in agricoltura è affrontata da anni sempre allo stesso modo. Pietismo e complottismo.
Da Rosarno a Foggia, da Latina a Cassibile. Testi, rapporti e video mortalmente noiosi. Che raccontano una rete paramafiosa di “cattivi” che sfrutta e trasporta “i nuovi schiavi” da una campagna all’altra. Povere vittime “a una dimensione” senza volontà e capacità di rivalsa.
Una visione falsa che nasconde una realtà difficile da raccontare, specie per i media a corto di risorse pubblicitarie. Esistono davvero gli invisibili delle campagne. Sono le multinazionali del pomodoro e del succo di frutta. Sono i padroni dei vini pregiati. Sono gli intermediari mafiosi padroni di aziende.
Commercianti, mafiosi, supermercati e multinazionali I commercianti della grande distribuzione. Le agenzie internazionali di fornitura della manodopera. Personaggi appartenenti all’economia ufficiale che non hanno timore di contaminarsi con gli abissi dello sfruttamento e spesso della criminalità. Quello che conta è l’economicità del prodotto. L’assenza di sindacato. Il basso costo del lavoro.
Quando è strutturale
Quando lo sfruttamento è strutturale si chiama modo di produzione. E non servono i progetti “a valle”, gli interventi umanitari, le interviste ai braccianti dalla faccina triste, le foto in bianco e nero con le casette di cartone e le chiazze di fango. Perché alla lunga tutto questo fa parte del circo, la facciata che copre e giustifica il sistema.
Da Sud a Nord, il sistema si estende. Ormai anche il Piemonte si va “rosarnizzando”. Dopo la raccolta della frutta, anche gli imprenditori del vino scoprono che può essere vantaggioso usare un bulgaro a basso costo. E non certo per la crisi.
Una questione di conti aziendali
Ma per una questione di conti aziendali: se posso risparmiare, e quindi guadagnare di più, lo faccio. Il disagio che produco lo scarico sulla Protezione Civile, gli enti locali, le associazioni caritatevoli. Il senso comune dice che gli africani vivevano così, nelle baracche, “anche al paese loro”.
Chi racconta di lavoratori che abitavano prima in appartamento a Vicenza e poi nelle tende fredde del Ministero dell’Interno? Chi dei braccianti prima accampati in Piemonte e poi in una normale casa in Calabria?
Fuori dalla vista
Mitsubishi è una notissima multinazionale giapponese che ha acquistato la più importante fabbrica di pomodoro pugliese tramite una società finanziaria di Londra. I produttori dei vini d’Asti guadagnano anche cento euro a bottiglia. Tra loro c’è un russo noto come “il re della vodka”. Il sindaco di Canelli ha offerto una doccia con l’acqua fredda ai bulgari che dormivano accampati.
La produzione di Rosarno è da sempre orientata verso l’arancia da succo. Una piccola parte finirà nelle bevande che chiamiamo “soft drinks”. Per legge basta mettere una percentuale minima di succo, il resto è roba chimica.
Il succo d’arancia tagliato per compiacere le industrie
E l’arancia calabrese – troppo amara per gli standard industriali - è spesso tagliata illegalmente con quello che proviene dal Brasile. I produttori locali, anziché aprire vertenze con i loro sfruttatori, hanno preferito negli anni – in genere – usare la forza lavoro a basso costo dei migranti e incassare i soldi dell’Unione europea, spesso ottenuti con le truffe.
La crisi non è arrivata con l’abbassamento dei prezzi – da sempre miseri – ma col meccanismo Ue del disaccoppiamento che vincola i soldi al terreno e non alla produzione, rendendo difficili gli imbrogli.
I nomi dei responsabili sono facili da individuare: Coca Cola-Fanta, Nestlé San Pellegrino, San Benedetto. L’oligopolio del succo d’arancia che comprava dalle industrie di trasformazione del territorio. Zone spesso dominate dalle aziende dei clan (trasporto su gomma, forniture di cassette, persino stazioni di rifornimento…). Ma nessuno ha avuto niente da dire fino alla rivolta degli africani. Il sistema era perfetto e ognuno aveva il suo guadagno.
Congruità
Durante il periodo di Natale in tutti i supermercati italiani arrivano le clementine della Piana di Sibari, un orrendo girone dantesco dove migliaia di uomini e donne dell’Est vivono in condizioni di violenza e sfruttamento estreme. Le paghe sono talmente basse che neppure gli africani lavorano qui. I casi di brutalità ai danni di ragazze sono degni del Messico. «Non ci riforniamo a Rosarno ma a Corigliano», disse Coop con una difesa che peggiorava la sua situazione di azienda attenta al sociale.
Anche a Vittoria sono migliaia le donne dell’Est sottoposte a violenza sessuale e ricatti. Tutto l’anno. Chi associa alla più grande produzione industriale di ortofrutta il numero sempre crescente di aborti clandestini? Eppure i prodotti delle serre siciliane finiscono in tutta Europa. Non c’è più margine che non sia collegato al centro.
Produzione industriale e aborti clandestini
Come sempre, non esiste la povertà, ma la ricchezza mal distribuita. «Se andate ad Abidjan, Costa d’Avorio, trovate grattacieli e bidonvilles. Non c’è più l’Africa che immaginate», ci spiega il sindacalista camerunense Yvan Sagnet.
Un cassone pieno
Africani o bulgari non sono poveri per natura ma perché elementi deboli di un sistema che si riproduce sempre uguale nella fascia Sud dell’Europa, dalla Spagna alla Grecia. Lo sfruttamento nei campi è un modo di produzione.
Le soluzioni, se ci fosse una volontà politica, sarebbero semplici. Gli indici di congruità mettono in correlazione le giornate versate all’Inps (i dati sono ormai pubblici) con la quantità di prodotto raccolto. Non risolvono tutto ma almeno cancellano le situazioni paradossali. Ad esempio: se dichiaro che un rumeno ha raccolto 10 tonnellate di pomodoro in 5 giornate di lavoro, evidentemente, c’è un controllo da fare. Subito.