Come può, in una legge di riforma della cooperazione internazionale, mancare un riconoscimento della figura del volontario? Se lo chiedono le associazioni Focsiv e Centro nazionale per il volontariato (Cnv) che l’8 aprile scorso hanno organizzato a Roma un seminario proprio per sottoporre questa problematica alle forze politiche impegnate in parlamento nel lungo iter di questo disegno di legge. “I due settori sono praticamente inscindibili” spiega infatti il presidente del Cnv, Edoardo Patriarca, secondo cui “è fondamentale che la nuova legge riconosca il valore, il ruolo e l’esperienza del volontario quale portatore di competenze non solo tecniche ma anche di relazione, ovvero capaci di costruire amicizia e fraternità aldilà di logiche egemoniche, occidentali e d’interesse”.

E dire che la vecchia legge 49, attualmente in vigore, questo ruolo chiave del volontario già lo riconosceva. Il problema, che è anche il motivo di tutto questo grande lavoro di riforma, è che risale al 1987 e, considerati i mutamenti dei contesti e degli strumenti della cooperazione allo sviluppo, risulta chiaro come una rivoluzione del quadro legislativo non possa più essere rimandabile. E ora che, nonostante i 300 emendamenti, sembra si stia per arrivare a un testo condiviso, per le associazioni e le varie reti il punto sul volontariato diventa essenziale, per tutta una serie di ragioni che i referenti non si stancano di elencare al vice ministro agli Affari Esteri Lapo Pistelli e ai rappresentanti delle forze politiche, come il senatore Alfredo Mantica (Pdl), o il deputato Giulio Marcon (Sel), presenti anche loro all’incontro, e che seguono da vicino l’evolversi del ddl.

Come spiega infatti il presidente Focsiv, Gianfranco Cattai, prendendo in prestito le parole di Napolitano, se la cooperazione internazionale è “politica estera nel senso più nobile della parola”, il volontario si è sempre distinto anche quale “facilitatore di relazioni”, a cui possono fare ricorso enti pubblici e privati. Un punto di riferimento spesso poco conosciuto e ri-conosciuto, che a volte diventa “persino supplenza delle istituzioni italiane”, ma che contribuisce così a trasmettere un’immagine positiva del nostro paese in tutto il mondo. “In questo modo – continua Cattai – il volontario deve essere anche una proposta di futuro, capitale umano su cui bisogna investire, secondo una logica di sussidiarietà”.

Silvia Stilli, portavoce dell’AOI Cooperazione e Solidarietà Internazionale, mette in luce l’importanza dell’investimento personale di coloro che praticano il volontariato internazionale anche dall’Italia, in un lavoro continuo che diventa la base delle relazioni tra le comunità locali, in una sorta di “educazione alla cittadinanza globale”. E non dimentica di menzionare i volontari e cooperanti che, lontani dalle luci della ribalta, hanno dato la loro vita durante le loro missioni, con un appello a non abbandonare i casi ancora aperti come quello di Giovanni Lo Porto, rapito in Afghanistan, e di padre Dall’Oglio, tutt’ora disperso in Siria.

I problemi da affrontare, però, sono tanti, complessi e diversificati. Per questo il vice direttore della Caritas italiana, Paolo Beccegato, per quanto riguarda la nuova legge auspica una valorizzazione di un volontariato “a maglie larghe”, che faciliti una forma plurima di approccio a questo mondo, soprattutto da parte dei giovani (si pensi al servizio civile) a cui bisognerebbe dare risposte adeguate. “Si tratta di una costruzione della pace dal basso – afferma – in una dimensione no profit che deve restare prioritaria”.

Nel nuovo testo, infatti, si parla di un riconoscimento dei soggetti aventi finalità di lucro nella cooperazione, che pone alcuni problemi. “C’è un equivoco in Europa, e cioè che il no profit si possa trasformare in low profit – spiega il portavoce del Forum Terzo Settore Paolo Barbieri – Per noi sarebbe un tradimento, un pericolo proprio per la partecipazione democratica”. E sebbene, come sottolinea anche il presidente della Fondazione AVSI, Alberto Piatti, “ogni 2 dollari che arrivano dal settore pubblico, ce ne sono 8 che vengono dal settore privato”, le associazioni chiedono che vengano stabiliti “inequivocabili criteri di valutazione”. Preoccupazione condivisa anche da Giulio Marcon, secondo cui la riforma della legge 49 dev’essere sì l’occasione per ripartire con nuove energie, ma senza cedere alla fretta: “Il paternariato pubblico-privato è un’ipotesi che dev’essere ben monitorata – spiega – Se è il profit che si adegua alla filosofia della cooperazione, allora va bene anche per noi. Ma se poi diventa un profit che si serve della cooperazione come strumento per internazionalizzare le imprese e promuovere il sistema paese, allora pensiamoci un po’ meglio”.

D’altronde, come sottolinea il senatore Pdl Mantica, il testo di legge è frutto di numerosi compromessi e quindi “non sarà mai quello in cui ciascuno di noi potrà vedersi rispecchiato completamente”. Tuttavia il viceministro Pistelli, d’accordo con il suggerimento del senatore di “asciugare” un po’ il testo, si è mostrato ottimista, anche e soprattutto sui tempi di approvazione. “Bisogna contrastare la tesi secondo cui, in momenti di crisi come questo, se si chiude la porta si sta meglio – aggiunge a proposito dei finanziamenti – A livello etico, geopolitico e di legami, gli investimenti sulla cooperazione sono investimenti che tornano”. E termina: “La riforma della legge sulla cooperazione internazionale si farà entro la fine dell’anno” afferma, sottolineando che il ddl, ora in discussione al Senato, potrebbe arrivare alla Camera “già a maggio”.

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