A proposito di relazioni da coltivare… Il mese scorso mi sono soffermato su un paio di esempi pratici su cosa è bene non fare per non rovinare il rapporto, esistente o potenziale, con un donatore, sia di tempo che di denaro. Mappare, ringraziare, accogliere, includere, scaldare, non trascurare: sono questi i verbi ricorrenti – come un mantra –
negli ultimi post. (
http://blog.uidu.org/2014/04/08/worst-practice-nel-fundraising-sempre-proposito-relazioni-coltivare/#.U0Zra1fQ6yG)
Alberto Cuttica
Stavo per portare un ultimo esempio, sempre a proposito della coltivazione del donatore, ma mi sono fermato perché ho pensato meritasse uno spazio a parte. Soprattutto perché riguarda il tema su cui si è focalizzata la nostra attenzione, ma contestualizzato e riferito ad uno strumento specifico di fundraising: il crowdfunding.
E allora, dato che negli ultimi tempi se ne parla molto (troppo?), tanto vale unire l’utile al dilettevole, prendere da questo strumento un caso pratico per proseguire la nostra chiacchierata su cosa evitare per non danneggiare la relazione con i nostri donor e prospect.
E’ superfluo dirlo, ma, semplificando, stiamo parlando di una modalità di raccolta fondi a sostegno di progetti di persone o organizzazioni (non solo nonprofit) caratterizzata da alcuni aspetti centrali nel fundraising, ma qui in qualche modo enfatizzati: il coinvolgimento dei sostenitori, che diventano in pratica co-generatori del progetto che intendono supportare con il proprio contributo; la necessità che il progetto sia riconosciuto come meritevole, quindi ben comunicato e molto “accountable”, cioè credibile e trasparente; il ruolo centrale della rete, che è connaturato all’esistenza dello strumento stesso, ed fondamentale per la riuscita del processo di coinvolgimento attivo dei “fan” dell’iniziativa da finanziare.
Ecco, prescindendo dal rischio concreto che il crowdfunding sia visto come la panacea di tutti i mali (di sopravvivenza economica) delle organizzazioni, le piccole in particolare, mi soffermo sul pericolo che l’entusiasmo e la “moda” facciano passare in secondo piano il fatto che si tratta di uno strumento e come tale va usato: con cautela e come si deve.
Veniamo all’esempio, per chiudere il cerchio.
Per non citare altri, cito me stesso: mi occupo di supportare le organizzazioni nonprofit nel raccogliere raccolte di fondi, ma sono prima ancora un donatore io stesso (in quanto “homo donator”, direbbero gli esperti di antropologia). E apprezzo davvero l’idea di sostegno collettivo, dal basso, che sta dietro al crowdfunding. Dunque curioso spesso fra i progetti “in vetrina” e ricevo tramite social network idee e richieste di dono.
Quando dono, lo faccio con il cuore e sposo la causa in pochi attimi (quanto conta l’aspetto emozionale nel fundraising…). Dunque, recentemente mi è capitato di sostenere un progetto artistico (il settore dove “investo” di solito) interessante, piuttosto innovativo, giovane. E di sostenerlo in modo relativamente importante, parlando di cifre ben superiori ai 100 euro.
La sensazione del donatore fiero del proprio dono è particolare: entusiasmo, voglia di partecipare, desiderio di convincere altri a condividere la stessa soddisfazione. E poi, certo, c’è anche il piacere di ricevere i benefit previsti in cambio della donazione. Più cresce l’una, più cresce l’importanza degli altri, funziona così. Dunque, felice di apprendere che il progetto ha raggiunto l’obiettivo, ho atteso con una certa ansia di avere ciò che mi spettava: oltre al grazie, una discreta serie di gadget e possibilità di partecipare fattivamente, da “protagonista”, al progetto (un evento artistico, dicevo).
Ebbene, temo che la mia attesa si protrarrà all’infinito: l’evento è stato realizzato e io non ho avuto altro che un invito identico a quello di altre decine e decine di persone, anche non sostenitori. Di gadget neanche l’ombra, non parliamo del mio agognato ruolo attivo nella realizzazione dell’iniziativa.
Ecco, secondo voi al prossimo progetto che gli stessi autori proporranno (con l’augurio di una fortunata carriera) io sarò colto dallo stesso entusiasmo, dalla voglia di sostenere la causa?
Se si trattasse di un caso isolato, la chiamerei sfortuna. Ma non lo è. Allora tocca tirare nuovamente fuori la matita blu (quella dell’altra volta) e fare una croce.
Non c’è crowdfunding che tenga, né basta essere in rete per avere successo, anzi. Si tratta di strumenti che in qualche modo possono addirittura amplificare dei difetti, perché li rendono evidenti in modo più immediato e, con la velocità e la diffusione, aumenta il rischio di danno alla reputazione dell’organizzazione.
Non ci stupiamo se il passo più arduo da compiere per un’organizzazione è quello della fidelizzazione, del rinnovo del sostegno: serve il ringraziamento (che significa umiltà e organizzazione), serve scaldare la relazione, serve coinvolgere il donatore nel cammino da fare insieme. Un mancato “grazie”, una promessa non mantenuta e il gioco è fatto (purtroppo).
Io, comunque, controllo ogni giorno la cassetta della posta in attesa del mio benefit.