L’assunto di partenza del precedente post era: il fundraising è prima di tutto relazione con il donatore, di qualsiasi tipo esso sia. Da qui siamo partiti per evidenziare quanto sia importante avere una chiara, ricca ed aggiornata mappatura dei nostri “portatori di interesse” (tecnicamente, nel fundraising: i “costituenti”), cioè i donatori attuali, gli ex, i potenziali e tutti i soggetti interni ed esterni all’organizzazione con i quali c’è o è possibile costruire un rapporto di relazione. Una relazione che sia fondata, per essere sufficientemente solida, sulla condivisione di una base valoriale e progettuale. (http://blog.uidu.org/2014/03/11/worst-practice-nel-fundraising-mantenere-e-coltivare-le-relazioni/#.UylyjoW3uPN)

Alberto Cuttica

Abbiamo evidenziato, in conclusione, come questa relazione sia del tutto simile a quella che ci lega alle persone care, nella nostra vita privata. È così, e vorrei soffermarmi ancora su questo aspetto, perché alla prova dei fatti si rivela spesso un punto di debolezza strutturale, oltre che un punto di passaggio scivoloso nell’attività di raccolta fondi.

Un paio di veloci esempi, tra i molti possibili dalla concretezza quotidiana, di cosa significhi trascurare la “relazione”.


Raccolta fondi: la trascuratezza è dietro l’angolo.

L’organizzazione, il suo staff e i volontari, sono bravi e mettono un considerevole impegno nel portare avanti l’attività e i progetti che caratterizzano la mission da realizzare. Questo è riconosciuto e, come auspicabile, porta anche risultati in termini di raccolta fondi. Verificando i movimenti sul conto corrente, ecco i frutti della fatica: ci sono alcune donazioni, alcune piccole, altre più importanti. Tra l’altro, i nominativi dei donatori non sono nuovi: sono persone che hanno partecipato all’ultimo evento realizzato e siamo stati bravi nel mappare i presenti.

Ora, l’errore più grande che si possa fare è vanificare il lavoro fatto con due comportamenti (uno da matita rossa e uno da matita blu): ringraziare i nostri sostenitori (tutti, non solo quelli più generosi) dopo un tempo oggettivamente lungo, o non ringraziarli affatto.

Capita spesso, e le ragioni sono varie: educazione da rivedere (sì, è strano, ma capita anche questo), troppe urgenze da sbrigare (…scadeva un bando dopo una settimana…), non era chiaro chi avrebbe dovuto rispondere (…faccio io, fai tu, fa lui?…), mancava chi doveva firmare la lettera (…il presidente era in vacanza, aspettavo che tornasse e poi me ne sono dimenticato…). Ecco, la trascuratezza è dietro l’angolo: basta poco e probabilmente qualcuno di quei sostenitori non si vedrà più, altro che fidelizzazione.


Coltivare le relazioni: alcuni consigli

Allora, per cercare di ridurre il rischio: perché non predisporre format di “thank you mail” da personalizzare in pochi secondi (va fatto, poche storie: non costa molto far sentire più calore al nostro interlocutore) e spedire entro brevissimo. Sarebbe un peccato, in un solo colpo, rovinare la relazione e perdere la possibilità di raccontare qualcosa di più su ciò che facciamo e gettare le basi per proseguire la strada insieme a chi ci sostiene.

Sarebbe utile che si definisca anche, a priori, a chi spetta occuparsi di questo aspetto. Se non è possibile perché tutti fanno di tutto in base alla disponibilità e alle necessità, almeno facciamo in modo di tenere traccia di quello che si fa in modo che tutti possano avere chiaro cosa è stato fatto e cosa no fra le molte attività che quotidianamente si accumulano. Ma non di solo fundraising vive un’organizzazione: sappiamo quanto può essere importante il sostegno anche in termini di attività di volontariato.

Ecco, prendiamo il caso proprio di un’organizzazione che ha in corso una campagna di peopleraising: passa in sede o telefona una persona che ha saputo che cerchiamo volontari e vuole proporsi. Benissimo, un mattone in più per rendere più solida la progettualità, una nuova relazione da tracciare e coltivare! Anche in questo caso possono succedere due cose spiacevoli…

L’organizzazione ha indicato un giorno o un orario preciso in cui presentarsi o telefonare. Peccato che in quei momenti la porta sia sbarrata e il telefono squilli a vuoto. Oppure la persona presente in sede non è in grado di dare le informazioni di cui l’aspirante volontario necessita e, con aria titubante, dica cose del tipo: “…eh, non saprei… devo chiedere al presidente… la ricontatteremo…”.

In quest’ultimo caso, l’esperienza insegna che statisticamente la probabilità che la persona sia ricontattata davvero e riceva un trattamento che riscaldi la voglia di dare un supporto (che nel frattempo si è raffreddata) non è altissima.

La motivazione delle persone, donatori o volontari che siano, non è scolpita nella pietra: anzi, soprattutto in fase iniziale di rapporto basta davvero poco a farla affievolire. Senza contare il possibile danno di reputazione conseguente.

Pensateci: se vi sentiste “presi in giro” o percepiste una scarsa professionalità o educazione, probabilmente sconsigliereste ad altri di avere a che fare con quell’organizzazione. È comunque un rischio che è bene non correre: pochi accorgimenti, rispetto di quanto si afferma, capacità di accogliere chiunque si avvicini, e fargli sentire “vibrazioni positive”.

Infine… No, questa volta mi fermo qui: stavo per portare un ultimo esempio, ma credo che valga la pena tenerlo in serbo e dedicargli più spazio nel prossimo post…

A presto!

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