Quasi tre anni e mezzo. Tanto il tempo che è trascorso dal lancio degli indici di sostenibilità Ftse Ecpi Italia Sri, relativi al listino di Piazza Affari. A curarli, insieme ai britannici di Ftse, è l’
italiana Ecpi, una delle prime società in Italia ad occuparsi di analisi della sostenibilità applicata all’investimento. Aldo Bonati è il responsabile della ricerca Esg di Ecpi. Con lui prosegue l’
indagine di ETicaNews avviata la scorsa settimana, alla scoperta degli approcci e dei modelli utilizzati dai principali operatori nel campo dei rating di sostenibilità. Attività generalmente più nota con il nome di rating etico. (
http://www.eticanews.it/2014/03/rating-etico-misura-di-performance/)
Come funziona il rating di Ecpi?
La nostra metodologia segue un approccio multi-stakeholder. Vale a dire che esamina una società dal punto di vista dei numerosi stakeholder con cui essa può avere a che fare. E, ovviamente, analizza anche gli strumenti di governo interni.
Quante aree di valutazione prevede il vostro modello?
Sono otto categorie: strategia e politica ambientale, sistema di gestione ambientale, prodotti, processi di produzione, capitale umano, relazioni con le comunità locali, mercati, corporate governance e azionisti. Due di queste categorie, i prodotti e i processi di produzione, sono sector-specific, cioè cambiano a seconda del settore di appartenenza della società.
Può fare un esempio di come cambiano queste categorie in base al settore?
Prendiamo l’impatto ambientale dei processi produttivi: per una società finanziaria è diverso che per una società che opera in settori come oil & gas, basic materials o beni di consumo ciclici. Per cui devono essere visti con metriche diverse. L’idea sottostante è che la struttura delle società non cambia molto. Le altre sei categorie restano invece le stesse, in quanto prevedono indicatori cross-industries, che possono valere per ogni settore. Non necessariamente, però, hanno la stessa importanza per ciascuna industry. Ma stabilire questo è possibile solo confrontando società che appartengono a industry simili. E qui veniamo a una delle due peculiarità che, a mio avviso, ha il nostro approccio…
Quali sono, dunque, le vostre peculiarità?
La prima è che il nostro approccio cerca di essere prettamente quantitativo. Quello che noi cerchiamo di dare ai clienti che comprano le nostre analisi sono dei segnali quantitativi, appunto, di quanto una società sia a rischio o meno in determinati ambiti. Confrontare società che sono simili per capitalizzazione, per area geografica e mercati di riferimento, e per settore, consente di eliminare in qualche modo le differenze, e di vedere, categoria per categoria di analisi, se una società è diversa da un’altra, perché è diversa, e se questa differenza può o meno tradursi in un rischio. Offriamo, insomma, un set di informazioni che gli investitori possono utilizzare a seconda, anche, delle proprie convinzioni.
Con che frequenza i vostri rating vengono aggiornati?
Questa è l’altra peculiarità cui accennavo. La nostra ricerca, infatti, è dinamica e i rating, o almeno un certo numero di indicatori, possono cambiare anche ogni settimana. Cerchiamo, cioè, di tracciare le news, di seguire i media (il database di Ecpi contiene circa 3.500 società, ndr), anche perché il rating assegnato è tanto più importante quanto più riesce in qualche modo ad anticipare i potenziali rischi. La nostra intenzione, ed è ciò a cui stiamo lavorando, è essere sempre meno ricercatori di dati e sempre più interpretatori di dati.
La vostra valutazione a che altezza pone l’asticella del rischio? In altre parole, a che livello di punteggio per le varie categorie di analisi, o anche per singoli indicatori, si entra in area di rischio?
La nostra analisi (il processo di ricerca di Ecpi è certificato Iso 9001 dal 2006, ndr) viene sintetizzata in un rating che esprime il profilo di rischio/opportunità in termini extra-finanziari. Quando un rating è particolarmente basso in una delle aree analizzate? Per stabilirlo, teniamo in considerazione la severità del fatto sulla base dell’impatto che può avere, o ha avuto, sulla società. E poi valutiamo: se il fatto è recente e il suo protrarsi nel tempo, se c’è un’iterazione, che tipo di reazione ha avuto la società, ovviamente di che tipo di evento si tratta, ad esempio se si tratta di dolo, colpa o accidente, e se c’è il coinvolgimento di altre società. Questo consente di valutare in modo diverso episodi che a una prima lettura sembrano uguali.
A che tipo di episodi fa riferimento?
Prendiamo una multa comminata a due società finanziarie, per lo stesso motivo e per la stessa cifra. Se in un caso il fatto è molto recente, è il primo, e la società ha reagito pagando la multa e licenziando i responsabili, allora in chiave prospettica dico che il rischio a essa associato è minore, e quindi il nostro punteggio migliore, rispetto a quello della società che mostra un’iterazione, che fa appello per non pagare la multa e che non si è dotata di strutture o non ha posto in essere azioni per evitare che il fatto si ripeta.
Il fattore rischio è quello verso cui gli investitori sono più sensibili? O sono più attenti alla redditività potenziale di un investimento basato su analisi extra-finanziarie?
Gli investitori in generale guardano soprattutto alla performance, associata al rischio. La mia opinione, comunque, è che non c’è una relazione di causalità tra sostenibilità e performance, ma una correlazione. Lo dicono anche i numeri degli indici Ftse Ecpi Italia Sri, che praticamente su ogni orizzonte temporale dimostrano di
sovraperformare i relativi benchmark. Se l’analisi è fatta usando buon senso, in modo sistematico e omogeneo, sembra effettivamente che l’informazione extra-finanziaria possa essere utile per ottenere buone performance. Questo è un fattore cui gli investitori sono sensibili.
Gli indici Ftse Ecpi Italia Sri non hanno però ancora venduto una licenza. Sintomo di scarso interesse? Come interpreta questo fatto?
Un indice di sostenibilità relativo a un unico Paese è un po’ un prodotto-bandierina e in questo senso di solito funziona. Quanto agli investitori, ce ne sono effettivamente pochi interessati a investire in un solo Paese. Però noi non siamo riusciti a far parlare di questo indice. Anche se pubblichiamo ogni anno un report sul profilo di sostenibilità delle aziende italiane, che ci permette di parlare dell’indice. Negli ultimi due anni lo abbiamo organizzato nell’ambito della Settimana Sri italiana.
Andrea Di Turi