Marzo dovrebbe essere il mese, cambiamenti di governo permettendo, in cui partirà il piano Youth Guarantee per l’occupazione dei Giovani. (http://www.nelmerito.com/index.php?option=com_content&task=view&id=1968&Itemid=1)

di Nicolò Boggian

Purtroppo analizzando lo stato dell’arte, sembra che al di là dei buoni propositi e del tema, correttamente individuato come priorità dalla classe politica, l’esecuzione del programma avrà diversi problemi se non saranno introdotti importanti correttivi.

Marzo dovrebbe essere il mese, cambiamenti di governo permettendo, in cui partirà il piano Youth Guarantee per l’occupazione dei Giovani. Purtroppo analizzando lo stato dell’arte, sembra che al di là dei buoni propositi e del tema, correttamente individuato come priorità dalla classe politica, l’esecuzione del programma avrà diversi problemi se non saranno introdotti importanti correttivi.

Innanzitutto un’occasione politica così importante e strategica dovrebbe essere utilizzata per cambiare il sistema di politiche attive,oggi centrato sugli organi dello Stato, per spostarloinvece vicino agli interessi del cittadino e delle imprese. Da questo punto di vista è indicativo come il dibattito istituzionale si sia focalizzato quasi esclusivamente sulla distribuzione delle risorse tra Stato Centrale e Regioni, anziché focalizzarsi sul riordino complessivo di come, e da chi, i servizi all’impiego verranno erogati. Un riferimento facile è alla riforma dei centri per l’impiego che in alcuni casi spendono fino al 70% delle risorse per la sola certificazione dello stato di disoccupazione. Questo significa che gran parte delle risorse che le Regioni rimborsano ai Centri per l’Impiego riguarda esclusivamente l’accoglienza del lavoratore e la registrazione come “disoccupato”. Non sarebbe meglio una qualche forma di autocertificazione o collegare anche questa attività a servizi più effettivi per il cittadino?

Allo stesso modo si dovrebbero rivedere i meccanismi di accreditamento regionale e il ruolo di alcune organizzazioni come Italia Lavoro e di molti altri enti la cui capacità di risolvere lo “skills mismatch” o di collegare lavoratori e aziende è più data per scontata che non dimostrata. Al momento, nella migliore delle ipotesi, al cittadino non sarà fornito nessun servizio innovativo particolare e quindi non si vede come solo mettendo “soldi nella macchina” amministrativa si possa dare un servizio migliore. Si potrebbe spostare il criterio per accedere all’accreditamento dalla sola territorialità (anche un carrozziere può avere due sedi in due province) a requisiti più sostanziali di “presenza sul mercato” magari chiedendo agli accreditandi di dimostrare il loro rapporto con le aziende imponendo di presentare almeno 30 lettere di referenze di clienti che hanno utilizzato il loro servizio anche al di fuori del sistema delle doti e in diverse province.

Secondariamente le risorse andrebbero spostate quasi totalmente da progetti faraonici come il potenziamento del portale nazionale di incrocio domanda/offerta di lavoro, con relativo piano di comunicazione per farlo conoscere (200 mln di euro !!!), a forme di incentivazione economica per le imprese che assumono i giovani. In questo caso basterebbe utilizzare i vari portali e siti internet di domanda/offerta di lavoro che già ricevono numeri importanti di visite.

Il secondo punto è di estendere immediatamente il target d’intervento alla popolazione tra i 25 e i 29 anni. Al momento su questo tema c’è una rassicurazione genericaa farlo tra un anno. Paradossalmente il piano Youth Guarantee (http://www.cliclavoro.gov.it/Youth-Guarantee/Pagine/Youth-Guarantee.aspx) non coinvolge quindi i comitati universitari giovanili e le strutture di placement universitario. Sarebbe quindi più onesto spiegare all’Ue che la politica comunitaria d’intervento giovanile va adattata al contesto italiano dove la fascia di emergenza non è 15 /24 anni, ma 24/29 anni.

Terzo punto sarebbe di coinvolgere soggetti rappresentativi e conoscitori del mondo giovanile ed esperti di politiche attive. Al momento tramite l’accreditamento regionale o, in generale, negli organi di gestione del Piano Operativo Nazionale, la fanno “da padrone” le parti sociali – sindacati e associazioni di categoria- che non sono certe conosciute per una presenza di giovani al loro interno o per esperienze di successo nelle politiche attive.

Viceversa andrebbero coinvolti maggiormente associazioni, esperti di politiche attive (non in teoria, ma in pratica) e fornitori privati di servizi di ricollocazione e orientamento che siano casi di successo effettivo e con un’alta riconoscibilità nel mercato del lavoro riguardo al tema giovanile (Almalaurea, Actl-sportello stage, Repubblica degli Stagisti, ex Alumni ….). In particolare andrebbero potenziati quei servizi che aiutino a costruire reti di relazione neutre, trasparenti e dirette alle aziende.

Altro punto potrebbe essere di utilizzare la Pa come leva per il cambiamento. Suona molto ipocrita che la politica si preoccupi per il destino lavorativo dei giovani quando almeno negli ultimi dieci anni con il blocco del turn over nella Pa e con l’innalzamento dell’età pensionabile si sono fondamentalmente esclusi i giovani dalle opportunità nel lavoro pubblico. Tanto per essere chiari, la quota di dipendenti under 35 nella Pa è solo del 10%, quando negli altri paesi dell’Ue è circa 3 volte più alta. Un vero Youth Guarantee dovrebbe quindi occuparsi di riequilibrare la situazione incoraggiando la PA ad assumere giovani per occasioni di lavoro qualificate.

Per ultimo non si possono non immaginare una serie d’interventi normativi e d’incentivi che portino il mercato del lavoro nel complesso ad essere più favorevole al merito e al talento. Una recente ricerca del Censis ha evidenziato come il fattore più importante che spinge i giovani italiani all’estero sia “l’assenza di meritocrazia “ citata nel 56% dei casi. Un mercato del lavoro che non premia il merito, ma i diritti acquisiti e in cui la dualità tra “insider e outsider” è così diffusa è forse la causa principale della disoccupazione giovanile e pertanto da qui sicuramente bisognerebbe partire.

Partner della formazione

ConfiniOnline fa rete! Attraverso la collaborazione con numerosi enti profit e non profit siamo in grado di rivolgere servizi di qualità a costi sostenibili, garantendo ampia visibilità a chi supporta le nostre attività. Vuoi entrare anche tu a far parte del gruppo?

Richiedi informazioni