Cinque banche hanno guadagnato in 2 anni 2,2 miliardi di sterline speculando sul cibo. Nel 1996 la speculazione alimentare era il 12% del commercio di prodotti alimentari, nel 2011 il 61%.
Il rapporto “Ejolt report 10: The many faces of land grabbing. Cases from Africa and Latin America” evidenzia che «le due grandi crisi globali scoppiate nel 2008 – la crisi alimentare mondiale e la crisi finanziaria, che ha reso più ampia la crisi alimentare – stanno producendo insieme una nuova e inquietante tendenza a comprare terreni per la produzione alimentare outsourcing. Il “Land grabbing”, come vengono ora chiamate queste acquisizioni, è spesso condotto dal settore privato (con il sostegno dei governi), che vede le opportunità innescate dalle crisi globali finanziaria, alimentare ed energetica».
Il rapporto fa un quadro delle caratteristiche dell’accaparramento di terre, che comporta «lo spostamento su larga scala dei poveri delle campagne senza un adeguato indennizzo e la distruzione dell’ecologia locale per fare spazio all’agricoltura industriale e ai biocarburanti. Recenti studi sottolineano i legami tra l’accaparramento della terra, l’estrazione di biomassa e gli interessi e le esigenze dei pochi membri di una classe globale dei consumatori, distribuiti in un sistema alimentare globale sempre più multi-centrico, contro la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Così, la lotta contro il land grabbing attualmente si trova ad essere l’interfaccia del dibattito sul clima, la sovranità alimentare, i diritti delle popolazioni indigene, la giustizia sociale e ambientale».
Il rapporto, realizzato da un folto gruppo di ricercatori di Ong ed istituti scientifici di mezzo mondo, describe e analizza casi specifici di land grabbing nei vari Paesi e all’interno di diversi contesti socio-economici e con diverse conseguenze sociali ed ambientali, ma illustra anche le lotte contro il land grabbing che hanno avuto successo e vuole «contribuire ad una comprensione preliminare delle forze in campo ed anche delle condizioni (spazi di opportunità) per la resistenza e le diverse tipologie di alleanze che possono essere realizzate a livelli diversi».
Durante l’ultimo World economic forum di Davos l’International Resource Panel (Irp) dell’Unep ha presentato il rapporto “Assessing Global Land Use” nel quale evidenziava che per evitare il collasso degli ecosistemi globali non sarà sufficiente una maggiore efficienza nell’utilizzo del suolo non sarà sufficiente. Nick Meynen di Environmental justice organization, liabilitie and trade (Ejolt) e Leah Temper dell’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals del’Universitat Autònoma de Barcelona, lo traducono così: «Ci sarà bisogno di lavorare anche sulla sufficienza, o nella lingua di Gandhi: “C’è abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di tutti”. Un’espansione di tale portata non è semplicemente compatibile con l’imperativo di sostenere i servizi di base che sostengono la vita come gli ecosistemi che forniscono il mantenimento della produttività del suolo, la regolazione delle risorse idriche, sostenendo la copertura forestale o la conservazione della biodiversità».
L’aumento della povertà e della speculazione alimentare non aiutano certo. Meynen e Temper ricordano che «nel 1996, la speculazione alimentare era il 12% di tutto il commercio di prodotti alimentari, ma entro il 2011 la quota della speculazione è cresciuta al 61%». Olivier de Schutter, il relatore Onu sul diritto al cibo è convinto che ci sia la speculazione dietro l’impennata dei prezzi alimentari e il rinnovato interesse finanziario per la terra come un investimento. Schutter sostiene che «l’aumento dei prezzi di grano, mais e riso degli anni passati non era legato a bassi livelli delle scorte e dei raccolti, ma ai commercianti che reagiscono alle informazioni e speculando sui mercati. Nel 2008 il mondo si è reso conto di cosa l’aumento dei prezzi alimentari significhi per la maggioranza delle persone. Ma le lezioni non sono state apprese e le misure adottate finora sono totalmente insufficienti».
Il 15 gennaio, l’Unione europea ha finalmente avviato alcune misure per frenare la peggiore speculazione alimentare. L’Ue ha limitato l’uso degli strumenti finanziari legati alle commodities, il che le rende un po’ meno attraenti per la speculazione e le multinazionali e le finanziarie che speculano sul cibo dovranno aprire le loro attività ad un maggior controllo pubblico.
«Ecco una buona notizia – dicono Meynen e Temper – ma dobbiamo vedere tutto questo in prospettiva. Anni fa, l’amministrazione Obama aveva già costretto il Congresso a prendere misure per limitare le attività dei traders di commodity attraverso il Dodd-Frank act, ma i banchieri della City sono riusciti a bloccare ogni progresso. Non solo l’Unione europea è in ritardo, ma ha anche lasciato gravi lacune nel suo nuovo accordo (che deve essere ancora ratificato). Questo piccolo passo alla lotta contro la speculazione alimentare continua a non affrontare le cause profonde dell’attuale sistema alimentare guasto, che oppone gli agricoltori di sussistenza e gli affamati ed i potenti del mondo affamati di profitti, con quest’ultimi che sono vincenti. E’ la visione della sovranità alimentare e della difesa dei contadini di mezzi di sussistenza contro la produzione monoculturale delle multinazionali per l’esportazione come via per sfamare il mondo»
Mentre la maggiore attenzione si è concentrata sul land grabbing nell’Africa sub-sahariana, il fenomeno si sta estendendo in tutto il mondo. In Sud America il Brasile fanno land grabbing in Africa, ad esempio in Mozambico, e vieta la proprietà straniera della terra brasiliana, ma allo stesso tempo continua a praticare il colonialismo interno, occupando territori comunitari e tribali per l’allevamento di bestiame, la coltivazione di soia Ogm e gli agro-carburanti. E’ questa una caratteristica particolare della più recente ondata di land grabbing: i Paesi investitori non sono più solo quelli del Nord del mondo ma al club si sono uniti quelli emergenti e a medio reddito come l’India, il Brasile, la Cina e l’Egitto, con la tendenza ad una configurazione più policentrica dei flussi di investimento.
Intanto, nonostante la crescente resistenza transnazionale contro la speculazione alimentare e misure come quelle Ue o il Dodd-Frank act, la speculazione sul cibo continua. Secondo il World Development Movement, «si stima che Barclays, Deutsche Bank, Goldman Sachs, JP Morgan e Morgan Stanley insieme abbiano ricavato dalla speculazione sul cibo, tra cui grano, mais e soia, 2,2 miliardi di sterline. E solo tra il 2010 e il 2012». Una conferenza, la più grande del suo genere finora, tenutasi all’Institute of Development Studies dell’Università del Sussex, ha esaminato oltre 100 accordi per cessioni di terra, concludendo la maggior parte erano solo “land grabbing”. Addirittura The Economist nel 2011 ammise che «si stanno accumulando le prove contro l’acquisizione dei terreni agricoli nei Paesi Poveri».
Fatti che diventano sangue e carne quando si vedono i volti di chi subisce le conseguenze del land grabbing, come i contadini di “Grabbing Gambela” un breve filmato di Ejolt sul land grabbing in Etiopia (che trovate qui sotto). E’ la storia simbolo dell’accaparramento delle terre comunitarie e tribali: nel 2008 il governo etiope ha firmato accordi con gli investitori provenienti da India, Arabia Saudita, Cina e da altri Paesi per i grandi progetti agricoli nella regione. Ora gli stranieri si sono impossessati della metà delle terre coltivabili del Gambela e le popolazioni locali sono state estromesse dai loro campi e pascoli. In Etiopia si tocca con mano il fatto che è l’avidità, non la necessità di sfamare la gente, a muovere gli ingranaggi del meccanismo perverso del land grabbing.
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