Gli Epa (Economic Partnership Agreements) sono lo strumento con cui l’Unione Europea si propone di regolamentare gli scambi commerciali con i Paesi dell’area ACP (Africa, Caraibi e Pacifico). In questo senso, gli EPA si trovano all’intersezione di due insiemi normativi: da una parte, gli accordi di Cotonou, che disciplinano l’insieme delle relazioni fra UE e paesi ACP in un ottica di cooperazione, sradicamento della povertà e good governance; dall’altra, le ferree regole del commercio internazionale del WTO, che impongono di mettere fine ai regimi di scambio preferenziale che l’Europa intrattiene con le sue ex-colonie. Due insiemi di fatto contraddittori: come dimostrano tutti i numerosi report indipendenti prodotti dalle società civili europea e africana, la completa liberalizzazione degli scambi con l’UE finirebbe per distruggere la piccola produzione locale dei paesi ACP, lasciandoli esposti senza protezioni alla concorrenza europea dell’industria, dei servizi e dell’agricoltura.

La retorica dell’allineamento obbligatorio agli standard del WTO è inoltre contraddetta dai fatti: gli EPA sono molto più esigenti di quanto davvero richiesto dalle norme internazionali, e impongono una liberalizzazione radicale, la cui unica certezza è che avvantaggerà l’export europeo. Prevale quindi la logica aggressiva di proiezione economica internazionale, nel contesto della competizione con Cina e USA sui promettenti mercati africani, in aperta contraddizione con gli accordi di Cotonou.

I regimi di scambio preferenziale, per cui i Paesi ACP hanno diritto di esportare senza franchigia in Europa – ma non viceversa, saranno unilateralmente cessati dall’UE a partire dal 1 ottobre 2014. A meno che, naturalmente, i Paesi coinvolti non decidano di entrare nel regime EPA di impegni reciprocamente vincolanti, con la soppressione delle barriere doganali e degli incentivi alla produzione. Una precipitazione sorprendente, che assomiglia una forzatura ai confini del ricatto, se si considera che i punti di divergenza del negoziato sono tutt’altro che risolti. Pertanto sia il consiglio dei ministri dei Paesi ACP che la piattaforma di ONG europee CONCORD si sono espressi molto criticamente nei confronti di questa opzione, ricordando che gli EPA dovrebbero promuovere lo sviluppo economico in un’ottica di dialogo e rispetto delle reciproche sovranità. D’altra parte, zelanti osservatori economici sostengono che, per un Paese come il piccolo regno dello Swaziland, la cui principale voce di export è la canna da zucchero destinata al mercato europeo, perdere il treno della firma degli EPA costituirebbe una sciagura biblica. La soppressione del mercato preferenziale con l’UE rappresenterebbe per lo Swaziland una perdita stimata a 65 milioni di euro all’anno. Non c’è dubbio quindi che per le multinazionali dello zucchero la firma degli EPA significa la salvezza del business. Oltreché, naturalmente, la salvezza della casa reale, che trae enormi profitti dalle quote di partecipazione obbligatoria che impone alle compagnie che investono nel Paese. D’altra parte, l’immissione massiccia sul mercato di prodotti agricoli e industriali europei avrebbe un impatto devastante sullo small business a cui è dedita la maggioranza della popolazione, che si vedrebbe di conseguenza consegnata alla disoccupazione e all’emigrazione.

Nella difficile scelta fra gli interessi di una minoranza già miliardaria e la maggioranza della popolazione sulla soglia di povertà, nessun calcolo economico sembra tenere conto del costo ambientale di un sistema di scambi destinato a privilegiare unicamente la monocoltura dello zucchero: una pianta terribilmente idrovora, responsabile della riduzione vertiginosa della portata dei corsi d’acqua locali. A monte le falde si svuotano, risucchiate dal mercato dello zucchero e dalla sua produzione insostenibile. A valle, l’acqua residua non basta più, né per l’agricoltura né per il consumo umano. Della valutazione d’impatto ambientale, strumento obbligatorio previsto da ogni progetto di cooperazione europea, nessuno sembra più ricordarsi.

Luca Raineri per Cospe

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