MSF pubblica un rapporto che evidenzia le pessime condizioni nel campo rifugiati di Dagahaley.

Nairobi/Roma. Mentre procedono i piani per il rientro volontario di centinaia di migliaia di rifugiati somali dal Kenya al loro paese d’origine (secondo l’accordo tripartito sottoscritto lo scorso 10 novembre tra il governo keniota, quello somalo e l’UNHCR), Medici Senza Frontiere chiede ancora una volta che questo processo non si svolga a discapito dell’aiuto umanitario che viene fornito a chi resta nei campi rifugiati di Dadaab in Kenya.

Con il taglio dei fondi subito da molte organizzazioni nei campi e il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza, MSF sollecita i donatori internazionali a garantire l’assistenza umanitaria e si appella al governo del Kenya perché migliori la protezione dei rifugiati.

MSF ha diffuso un rapporto che evidenzia le condizioni inadeguate e l’insicurezza tuttora presenti a Dagahaley, uno dei cinque campi che fanno parte del complesso di campi rifugiati di Dadaab, nel Kenya nord-orientale. Il rapporto “Rifugiati a Dadaab: un domani incerto” contiene anche i risultati di un’analisi realizzata l’anno scorso da MSF a Dagahaley.

“I risultati della nostra analisi rivelano condizioni tristemente inadeguate a Dagahaley” ha detto Charles Gaudry, capo missione per MSF in Kenya “Per esempio, il 41% dei rifugiati intervistati dichiara che i ripari che hanno a disposizione non li proteggono sufficientemente dalla pioggia, mentre circa un rifugiato su dieci non ha accesso alle latrine”.

I dati di quest’anno descrivono ancora una situazione molto grave. A gennaio Medici Senza Frontiere ha trattato 2.346 casi di diarrea – oltre 900 casi in più rispetto all’anno scorso nello stesso periodo. “Si tratta di un aumento del 39% che mostra l’urgente necessità di miglioramenti sia a livello di igiene che di protezione” continua Charles “Le attuali condizioni di vita per i rifugiati sono semplicemente inaccettabili”.

Durante l’analisi, ai rifugiati è stato anche chiesto se fossero disposti a tornare in Somalia. Nonostante le difficili condizioni di vita a Dagahaley, quattro rifugiati su cinque hanno detto che non avrebbero considerato la possibilità di rientrare nel loro paese d’origine.

Le attività di monitoraggio in corso rivelano l’esistenza di un ampio gruppo di bambini malnutriti - sebbene non a un livello di emergenza in questo momento - con una media di 175 nuove ammissioni ogni mese al programma ambulatoriale di nutrizione terapeutica MSF. E ogni mese circa 49 bambini malnutriti con complicazioni mediche vengono ricoverati all’ospedale di MSF.

“Date le difficili condizioni di vita nel campo, le équipe mediche di MSF sono in allerta per ogni peggioramento della situazione nutrizionale” dice Charles “La riduzione dei fondi per le organizzazioni umanitarie è una delle preoccupazioni principali. Il Word Food Programme, per esempio, ha dovuto ridurre le razioni di cibo del 20% a Dadaab, nel novembre e dicembre 2013. Se si verificassero altri tagli di questo genere, potrebbero esserci gravi conseguenze per la salute e il livello di nutrizione dei rifugiati.”

Alla luce della situazione attuale, e nonostante i piani per il rientro dei rifugiati in Somalia, MSF chiede urgentemente a tutti gli attori, e ai donatori internazionali in particolare, di garantire investimenti adeguati per fornire assistenza e sicurezza costanti nei campi per rifugiati in Kenya. MSF chiede inoltre al governo keniota di garantire la protezione dei rifugiati e migliorare la sicurezza nei campi, in modo che le organizzazioni umanitarie non siano ostacolate nel fornire assistenza. Allo stesso tempo, l’organizzazione sottolinea che gli sforzi fatti dal governo keniota e dall’UNHCR per migliorare la dignità e la sicurezza dei rifugiati durante il processo di rientro devono essere mantenuti.

MSF lavora a Dadaab da vent’anni e oggi è l’unica realtà che fornisce cure mediche nel campo di Dagahaley. Ogni mese, le équipe di MSF svolgono circa 18.000 visite mediche ambulatoriali e ricoverano all’ospedale di Dagahaley più di 450 pazienti provenienti dai gruppi di rifugiati e dalle comunità locali.

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