Pietro Grasso non usa mezzi termini per la situazione carceraria. La conferma dai dati e dalle analisi, mentre si provano alternative. (http://www.nelpaese.it/index.php/13-inchieste-reportage-storie/1204-carcere-tra-condizioni-disumane-e-alternativa)

“Il giorno dell'approvazione in Senato della legge sul voto di scambio politico-mafioso, essenziale per combattere la criminalità organizzata e i suoi rapporti con la politica, e' stato per me davvero emozionante. Dobbiamo pero' fare di più. Spero si chiuda presto, in commissione Giustizia, la discussione sul ddl che ho presentato nel mio primo giorno da senatore che contiene norme contro la corruzione, il riciclaggio, l'autoriciclaggio e il falso in bilancio. Penso infine alla disumana condizione dei detenuti: occorrono soluzioni di sistema per trasformare le 'carceri della vergogna' in carceri della speranza'. Credo si debba insistere sulla depenalizzazione dei reati minori, sulla promozione di misure alternative al carcere, sulla lentezza dei processi". Lo ha scritto su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, che ha iniziato un dialogo con chi lo segue sui social network per tracciare un bilancio del suo primo anno alla presidenza di Palazzo Madama. La seconda carica dello Stato ha confermato la situazione che da anni è denunciata dalle associazioni per i diritti dei detenuti.

La fotografia è quella ormai insostenibile per il nostro Paese. Su MicroMega il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha scritto: “L’Italia è al trentacinquesimo posto in Europa per l’efficienza del sistema giudiziario. Se si considera che i Paesi complessivamente monitorati sono quarantadue si può ricavare che non siamo proprio messi bene. Lo studio è il frutto di una elaborazione dell’Ufficio Statistico del Ministero della Giustizia che usa quali parametri di riferimento il Rapporto Doing Business della Banca Mondiale e il rapporto European judicial systems, realizzato dalla commissione del Consiglio d’Europa specializzata nella valutazione dei sistemi giudiziari”


I dati

Si allunga la lista delle morti in carcere: in 48 ore sono stati in tre a togliersi la vita. Due erano detenuti, nelle carceri di Lecce e di Biella, e il terzo era un poliziotto penitenziario in servizio nel carcere di Volterra. L’aggiornamento viene dall’Osservatorio permanente delle morti in carcere, che riunisce diverse associazioni, secondo cui dall’inizio del 2014 sono undici i detenuti e due gli agenti di polizia penitenziaria che si sono suicidati: Daniele Piroddi, 47enne, e Mario Ferrara, 46enne di Novara, entrambi assistenti capo.

Stilando un bilancio degli ultimi tre anni la lista delle persone morte in carcere conta 188 detenuti e 26 poliziotti suicidi. I casi registrati nel 2014 di detenuti suicidi riguardano tutti italiani (con una sola eccezione), in larga parte deceduti per impiccagione. Il più giovane aveva 33 anni, si chiamava Angelo Amuso, era detenuto a Poggioreale ed è morto in seguito ad asfissia il 19 febbraio. Il più anziano, Francesco di Francesco, aveva 53 anni, era detenuto a Rebibbia e si è impiccato il 5 gennaio. Scorrendo la lista con i nomi riportati dall’Osservatorio si leggono i nomi di moltissimi istituti penitenziari, da Nord a Sud. Tra gli istituti maggiori, Napoli conta 13 decessi di detenuti (tra Poggioreale e Secondigliano), 7 Roma (di cui 5 a Rebibbia), Firenze e Torino, 6 Padova (tutti eccetto uno nella casa di reclusione), 5 a Palermo, 4 a Milano nel carcere di Opera. L’impiccagione è il metodo in assoluto più adottato: in 132 si sono tolti la vita così


Alternative

Dal prossimo anno accademico, l'università di Milano-Bicocca avrà degli studenti speciali: i reclusi del carcere di Opera e di Bollate. I professori dell'ateneo milanese hanno presentato oggi i corsi ad un centinaio di detenuti della media sicurezza della struttura di Opera. Da ottobre si potranno iscrivere a qualunque corso pagando 480 euro di tassa regionale da versare all'iscrizione. "Tra loro 18 lo scorso anno si sono iscritti privatamente all'università", spiega il direttore della casa di reclusione Giacinto Siciliano. "Tra due-tre anni spero che si arrivi ad averne anche trenta. Ora l'importante era cominciare", aggiunge.

Il diritto allo studio sancito dall'articolo 34 della Costituzione è garantito anche per chi sta dietro le sbarre. "È un modo importante per far pensare i detenuti in modo differente. Quello che scatta è un diverso meccanismo culturale", continua Siciliano. Insieme ad Opera, parteciperà anche il carcere di Bollate alla sperimentazione. I reclusi potranno assistere alle lezioni dei loro corsi via Skype e a volte potranno partecipare a lezioni frontali di professori che si recano nella struttura. Come fa da un anno Alberto Giasanti, che insegna a 25 reclusi al corso "Le forme della mediazione dei conflitti". Insieme a loro, partecipano 33 studenti dell'università. "Mi colpisce che gli studenti mi abbiano detto che non si sentono dentro un carcere, è un dato importante", spiega il professore. Non un caso la scelta della materia: imparare a gestire i conflitti è il primo passaggio per la rieducazione all'interno del carcere.

Alla base della convenzione ateneo-carcere c'è l'accordo stretto il 28 giugno scorso dal Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria e l'università Bicocca. Aldo Fabozzi, provveditore regionale, sostiene che "potrebbero arrivare studenti-detenuti anche da fuori regione per partecipare alle lezioni". In tutta Italia sono poche le realtà che stanno percorrendo questa strada di convenzioni con le università. Già in corso c'è solo a Torino, dove gli studenti universitari del carcere, a febbraio 2014, sono 28. Dal '98 ad oggi a Torino si sono laureati in 30 e altri 10 arriveranno al capolinea quest'anno. Dal 2000 un'esperienza simile esiste anche al carcere Dozza di Bologna.

Redazione, @nelpaeseit, Legacoop Nazionale

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