Può la cooperazione diventare un modello per l'innovazione sociale? di Chiara Carini, Jacopo Sforzi e Flaviano Zandonai, Euricse. (
http://euricse.eu/it/node/2502)
1. Le nuove cooperative
Per valutare la dinamica delle nuove cooperative nella crisi, si è focalizzata l’attenzione alle sole cooperative costituite nel periodo 2008-2011(1).
Dai dati analizzati emergono 10.488 nuove cooperative (Tabella 1), pari al 17,6% delle cooperative attive nel 2011). Di queste, il 22,6% sono cooperative sociali.
Nel complesso, nel corso del 2011, le cooperative analizzate hanno registrato 254.474 posizioni lavorative, pari al 14,6% degli occupati complessivi dalle cooperative italiane. Di questi il 13,8% è stato occupato in cooperative sociali. I dati evidenziano inoltre che il 45,8% degli addetti registrati nel corso del 2011 nelle nuove cooperative è stato occupato in quelle costituite nel biennio 2010-2011.
In generale, il 19,7% delle nuove cooperative operano negli altri servizi, il 17,4% nel settore dei trasporti, il 14,3% in quello delle costruzioni, il 10,3% nel settore del welfare (Tabella 2). Le nuove cooperative sociali operano soprattutto nei settori del welfare (41,7%), degli altri servizi (19,3%) e dell’istruzione (9,5%). La crisi economica non sembra, quindi, aver modificato i settori di specializzazione di questo tipo di cooperative.
I dati evidenziano inoltre come i settori dell’istruzione, del welfare, del turismo e dei servizi ad esso legati e della cultura sono i settori che, per le loro caratteristiche e dinamiche di sviluppo, possono offrire interessanti opportunità per la nascita di nuove cooperative.
Si tratta di settori che, oltre ad essere a elevata intensità di lavoro e bassa intensità di capitale, possono essere, più facilmente di altri, oggetto di esternalizzazione da parte delle amministrazioni locali. Inoltre, questi settori si prestano all’avvio di nuove imprese anche di natura collettiva e con un forte orientamento sociale. Infine, essi sono in grado di contribuire all’aumento dei livelli di coesione sociale e possono dimostrarsi utili nell’agevolare il processo di emersione di iniziative che già operano in questi ambiti seppure non ancora con veste imprenditoriale (volontariato/associazionismo).
2. Le nuove cooperative costituite da giovani
Dai dati di Unioncamere(2) sull’imprenditorialità giovanile, emerge come il modello cooperativo si stia diffondendo anche tra i giovani. Nel 2012 il numero di cooperative costituite da giovaniera di 13.474 (9,1% sul totale delle cooperative), un dato vicino a quello generale delle imprese giovanili sul totale delle imprese (11%). Il tasso di crescita di queste imprese nel 2012 è risultato pari al 12,2%, valore superiore sia della media generale del totale delle imprese giovanili (10,1%) sia del totale delle cooperative (2,3%). Sempre secondo i dati di Unioncamere, nel 2012 la crescita del settore cooperativo italiano è da attribuirsi per quasi il 50% a cooperative costituite da giovani. Il tasso di natalità delle cooperative giovanili è stato, a livello nazionale, pari a 14,7%, mentre quello delle cooperative è stato pari al 5,2%.
I dati per area geografica (Tabella 5), mostrano una concentrazione maggiore di nuove cooperative costituite da giovani soprattutto nel meridione (31,7%), dove si concentra anche la maggior parte delle nuove cooperative. Il Nord-est è la macro regione dove si è registrato il numero più basso di nuove iscrizioni (19,9%). Queste regioni hanno però registrato anche un minor numero di cessazioni (Nord-est 6,4%, Centro 6,5%, Nord-ovest 8,3%, Sud e Isole 8,5%), dimostrando una maggior capacità delle cooperative di resistere alla crisi.
In dati per settore di attività evidenziano infine che il settore in cui questo modello di impresa è più utilizzato dai giovani è soprattutto quello dei servizi turistici (10,9%) con attività legate soprattutto alla valorizzazione del territorio.
3. Oltre che nuove anche innovative?
La dinamica che caratterizza lo sviluppo recente dell’imprenditoria cooperativa può essere valutata ampliando il confronto anche ad altre forme istituzionali, allo scopo di misurare l’effettivo “valore aggiunto” delle cooperative, non solo guardando ai classici parametri dello sviluppo imprenditoriale – numero di imprese, occupati, giro d’affari - ma anche considerando aspetti di carattere qualitativo. Rispetto a questi ultimi l’innovazione rappresenta un indicatore particolarmente rilevante: in primo luogo perché “innovare” rappresenta nel discorso politico e degli addetti ai lavori la condizione per uscire da una crisi che sta ridisegnando il contesto e i modelli di crescita. In secondo luogo perché l’innovazione è sempre più declinata in senso “sociale”.
Per questa ragione è utile approfondire i dati relativi alle start-up innovative (d.lgs. n. 179/2012, artt. 25 e ss.), che, nell’intento del legislatore, dovrebbero rappresentare una sorta di benchmark per l’innovazione, anche in campo sociale, perseguita attraverso nuove venture imprenditoriali.
Secondo quanto riportato nella rilevazione di Unioncamere datata novembre 2013, il numero di start-up innovative ha superato in pochi mesi le mille unità (1.344). I dati della stessa fonte segnalano inoltre il ruolo guida delle regioni settentrionali, anche se nel corso del tempo cresce la componente rappresentata dalle regioni del Sud.
Guardando alle forme giuridiche adottate dalle start-up innovative risalta in modo molto chiaro l’imprinting di questo provvedimento normativo. Infatti, nonostante la norma consenta di assumere diverse forme giuridiche, la quasi totalità delle start-up sono imprese di capitali e, in specifico, società a responsabilità limitata (srl). La scarsa presenza di cooperative è peraltro riconducibile all’impostazione della policy pubblica che punta in modo deciso sull’innovazione tecnologica, in particolare guardando a risorse e servizi web-based.
Spostando l’attenzione sui settori di attività emerge un’ulteriore e forse ancor più evidente qualifica delle start-up innovative. Nella quasi totalità dei casi si tratta, infatti, di imprese di servizi e, in particolar modo, di organizzazioni che fanno leva su elementi di capitale intellettuale (attività professionali, scientifiche e tecniche) e sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (servizi di informazione e di comunicazione).
I dati camerali non riportano il numero di start-up innovative che hanno optato per la “vocazione sociale” e quindi non è possibile stabilire con certezza se davvero esiste un nuovo filone di imprenditoria sociale, ed eventualmente quale ne sia la consistenza. È possibile ovviare, almeno in parte, a questo limite cercando di stimare quante delle start-up innovative attualmente costituite operano in settori riconducibili alle “materie di rilievo sociale” definite dalla legge sull’impresa sociale. Secondo lo schema proposto da Aiccon(3) sono 291 (pari al 21,6% del totale) le start-up operanti nei settori riconosciuti dalla legge sull’impresa sociale. Si tratta quindi di un potenziale di imprenditoria sociale che però si caratterizza per un’evidente centratura, ovvero per il fatto di operare in gran parte (ben l’85%) nel settore ricerca e sviluppo. Sono invece quasi assenti le start-up innovative in altri settori a forte rilevanza “sociale” come il welfare e le attività culturali, creative ed artistiche.
Conclusioni
I dati analizzati confermano l’ipotesi che il modello cooperativo può essere in grado di superare le principali difficoltà del fare impresa grazie soprattutto alle sue caratteristiche intrinseche, alla sua capacità di attivare forme di collaborazione all’interno sia della compagine societaria che della collettività nella quale opera, offrendo spesso servizi di interesse generale ad alto valore aggiunto.
È necessario capire quale può essere il ruolo dell’impresa cooperativa, in particolare delle cooperative di nuova costituzione nel panorama imprenditoriale italiano.
Costituiscono certamente dei punti di forza la capacità delle cooperative di aggregare l’offerta di lavoro: in molti dei settori individuati si segnala la presenza di una molteplicità di imprenditori singoli e di micro imprese, che da sole difficilmente sono in grado di avere la massa critica necessaria a promuovere sviluppo. Le cooperative – in particolare quelle di lavoro e sociali – possono giocare un ruolo importante per assorbire questa dispersione migliorando le condizioni di lavoro e, più in generale, i processi produttivi. A condizione però che venga ripensata la governance cooperativa. Un paradosso delle forme emergenti di economia in senso lato “sociale” (come, ad esempio, la sharing economy) è la scarsa presenza di modelli cooperativi per la gestione di processi e imprese che invece, come si sosteneva in precedenza, individuano nella cooperazione il loro principio di regolazione(4).
Infine, la nuova cooperazione e, in senso lato, la nuova imprenditorialità sociale potrebbero rappresentare un’importante opportunità per generare processi di cambiamento organizzativo all’interno di imprese, cooperative e non. La diffusione di incubatori di impresa e spazi di co-working promossi anche dalla cooperazione sta generando importanti “esternalità positive” legate non solo ai tipici benefici dell’enterprise creation (occupazione, ricchezza, innovazione), ma anche alla rigenerazione dello stesso settore cooperativo. Solo in questo modo le imprese cooperative potranno affrontare la prova più importante per il loro sviluppo prossimo venturo, ovvero strutturare, come è successo in altre epoche storiche, le spinte in senso lato “cooperative” che caratterizzano strati sempre più ampi e diversificati delle società contemporanee (5).
(1) I dati analizzati si riferiscono alle cooperative costituite tra il 2008 ed il 2011 per le quali risultano disponibili nel Data warehouse di Euricse il bilancio d’esercizio e i dati occupazionali di fonte INPS relativi all’anno 2011.
(2) Unioncamere (2013), Giovani, Imprese e Lavoro, 9 giugno 2013.
(3) Aiccon (a cura di) (2013), Hybrid Organizations. Imprese ibride a matrice cooperativa. Le componenti di ibridazione nella rete del Gruppo Cgm, Rapporto di ricerca di prossima pubblicazione per i tipi de Il Mulino.
(4) Pais, I. (2012), La rete che lavora. Mestieri e professioni nell’era digitale, Egea, Milano.
(5) Sennett, R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano.