Arriva a capo del dicastero che gestisce ammortizzatori sociali e contratti dopo aver condotto in porto l'unificazione delle tre grandi centrali della cooperazione italiana. Un gigante da 140 miliardi di ricavi e 200mila occupati. (
http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2014/03/03/news/coop_di_consumo_e_di_governo_cos_poletti_da_ministro_vuole_unire_lavoro_e_imprese-80071131/)
Giovanni Valentini
Roma. È un colosso a tre teste che fattura 140 miliardi di euro all’anno e incide sul Pil per circa l’8%. Una holding virtuale che raggruppa 43mila imprese, con un milione 200mila occupati e oltre 12 milioni di soci. Ed è proprio questa la “constituency” di quel variegato movimento cooperativo che ora arriva al governo con la nomina di Giuliano Poletti, già presidente di Lega Coop, a ministro del Lavoro.
Annunciata ufficialmente nelle settimane scorse a Roma, dopo tre anni di “fidanzamento”, l’Alleanza tricolore delle Cooperative italiane è la sua ultima creatura: “L’obiettivo – come ha spiegato lo stesso Poletti all’Assemblea nazionale – è quello di favorire il protagonismo sociale dei cittadini, in modo da formare una comunità di persone impegnate a realizzare la partecipazione attiva e responsabile alla vita collettiva e alla gestione dei beni comuni”.
C’è dunque un progetto condiviso di società alla base dell’intesa sottoscritta da Lega Coop, Confcooperative e Agci (Associazione generale cooperative italiane): quelle cioè che storicamente sono state considerate le cooperative rosse, bianche e verdi. “L’Alleanza – secondo le parole di Poletti - è prima di tutto il contenitore di un pensiero nuovo, non semplicemente la razionalizzazione della rappresentanza”.
E con un totale di oltre un milione di occupati alle spalle, il neoministro può rivendicare a buon diritto il merito di aver sempre “creato lavoro” nel corso della propria attività. Queste sono oggi le cooperative di consumo e di governo. Al primo punto del loro programma, c’è “l’esigenza di promuovere opportunità di lavoro per i giovani, ma anche quella di far vincere in Italia l’idea di una nuova società e di una nuova economia”.
Più che di crisi, Poletti preferisce parlare perciò di “crisalide”, cioè di una trasformazione come quella del bruco che diventa farfalla. “Il problema fondamentale che abbiamo davanti – continua il ministro nel suo eloquio colorito e torrenziale – si chiama equità, giustizia sociale. Io non credo che con le competenze, il know-how, la tecnologia, il sapere, la finanza, tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, l’umanità non sia in grado oggi di produrre beni, servizi, condizioni di vita migliori di quanto non ha fatto fino a ieri”.
E se questo però non accade? “Allora vuol dire che esiste un problema: non di quantità, ma di come viene distribuita la ricchezza che si produce”. Ma qui il leader delle Coop avanza un’ipotesi che lui stesso considera “molto azzardata”: “Penso che l’idea secondo cui l’equità, nelle società avanzate come la nostra, si riproduce per via fiscale, è un’idea priva di qualsiasi fondamento. Nel momento in cui la forbice tra i redditi più bassi e quelli più alti si allarga a dismisura, non c’è nessun fisco in grado di gestire una distanza così grande. E si tratta di un fatto non solo eticamente riprovevole, ma anche economicamente drammatico perché inceppa i meccanismi della domanda, della produzione, della circolazione dei beni e delle merci”.
Quale può essere, dunque, la soluzione praticabile? Qual è la via d’uscita? “Bisogna provare a immaginare che, all’interno del pluralismo delle forme di impresa, deve avere un posto importante una forma di impresa che ha nelle sue regole fondanti l’equa distribuzione delle ricchezza tra coloro i quali partecipano a produrla”.
Nelle Cooperative vige infatti la regola “una testa, un voto”: “E se i soci hanno tutti un voto ciascuno, è piuttosto improbabile che decidano di dare a se stessi 1 euro e a qualcun altro 400 o 4.000 euro”. Né Poletti né gli altri partners dell’Alleanza tricolore, il presidente dell’Agci Rosario Altieri e quello di Confcooperative Maurizio Gardini, pensano evidentemente a una sorta di “Repubblica delle Cooperative”. Il campo d’intervento delle loro organizzazioni è quello del “terzo settore” fra Stato e mercato.
“La governance democratica dell’impresa cooperativa – ribadisce ancora il ministro – produce un effetto economico, ridistribuisce in maniera più equilibrata la ricchezza; contribuisce, insomma, ad attutire il problema dell’iniquità o della diseguaglianza generale”. Proprio in questo “humus” è maturata l’esperienza che ha portato Poletti alla guida del ministero del Lavoro, il più esposto ai contraccolpi della crisi economica e sociale.
Da qui, la necessità di una “piccola rivoluzione culturale” auspicata dal neo-ministro: “In questo Paese, c’è in tanti l’idea che l’impresa è un guaio che va sopportato perché dà lavoro, ma se si potesse sarebbe meglio non averlo perché l’impresa è il posto dove si sfrutta il lavoro. Qualche volta è vero, ma molte volte non è così. L’impresa è una condizione, un’infrastruttura sociale indispensabile se vogliamo avere il lavoro”. Lui stesso perciò rilancia: “Dobbiamo cominciare a pensare che l’impresa è un bene della collettività e che il 1° maggio sarebbe giusto celebrare la Festa del lavoro e dell’impresa”.
Quella a cui mira il movimento cooperativo è, quindi, “un’economia sociale e solidale”. E Poletti aggiunge anche “liberale, perché deve essere nel mercato, deve essere capace di competere, deve essere efficiente, efficace e capace di interpretare questa modernità”. Il modello, insomma, è quello del “liberalismo comunitario” a cui s’ispirava l’attività sociale di un imprenditore illuminato come Adriano Olivetti.
Per valutare la consistenza e l’impatto dell’Alleanza tricolore, di cui il nuovo ministro del Lavoro è stato l’artefice principale, si può ricordare che un italiano su cinque e socio di una cooperativa e che uno su tre acquista nelle cooperative. I settori in cui operano le imprese aderenti vanno da quello dell’abitazione, con 2.200 occupati e un fatturato di 1,8 miliardi di euro, a quello agro-alimentare che realizza una produzione “made in Italy” di circa 35 miliardi. Poi vengono le Banche di credito cooperativo (13,4% sul totale degli sportelli bancari e una raccolta diretta di 157 miliardi); la distribuzione e il consumo al dettaglio (34% del mercato e un fatturato di 28 miliardi); i servizi e le utilities (16mila imprese con 500mila addetti); e infine la cooperazione sociale con 355mila occupati che eroga servizi socio-sanitari a 7 milioni di persone. All’interno delle cooperative, le donne sono la maggioranza degli occupati (52,8%) e rappresentano il 25% della governance. Rilevante la presenza degli stranieri, con 290mila lavoratori. Nel settore del consumo, Coop è il marchio leader con una quota di mercato del 18,5%, un fatturato di oltre 13 miliardi, 1.470 strutture di vendita sul territorio nazionale e 56mila addetti. Ma è anche una rete di imprese che appartiene a 7 milioni e 900mila soci. Nel comparto del dettaglio, le sigle più rappresentative sono Conad, Sigma, Crai, Coal, con un totale di 8mila punti vendita, 70mila occupati, un giro d’affari pari a 20 miliardi e una quota di mercato del 17,4%.
Tra le sei maggiori imprese della grande distribuzione, una recente indagine della rivista “Altroconsumo” ha attribuito a Coop il primato nella graduatoria degli standard qualitativi, in ordine ai rapporti con i fornitori e alle politiche di prezzo. “L’impegno etico – si legge nella motivazione – è autentico, trasparente e condiviso”. Mentre la crisi economica scatena la “guerra dei prezzi” sul mercato, provocando l’abbassamento della qualità dei prodotti e del loro assortimento, l’insegna Coop – secondo “Atroconsumo” – “è l’unica che può dimostrare di attuare tutte le politiche etiche che dichiara”, garantendo che “i fornitori corrispondano il salario giusto ai dipendenti e termini di pagamento e di produzione ragionevoli”.
Ora che le cooperative sono arrivate nella “stanza dei bottoni”, c’è da augurarsi che i valori fondamentali di questo movimento – come l’equità, la solidarietà, il consumo etico – possano trovare applicazione concreta nell’azione di governo. E non solo nel campo del lavoro, presidiato adesso da Poletti, ma più in generale in tutto il sistema produttivo ed economico del Paese. Nel grafico, la ripartizione dei ricavi della Alleanza delle Cooperative per settore economico: l’agroalimentare è quello più corposo. Dal punto di vista geografico, il 76% del valore prodotto è localizzato nelle regioni del nord.