Dati gli interessanti spunti che se ne possono trarre, vi consigliamo la lettura dell’intervento del Prof Stefano Zamagni in occasione dell’incontro, tenutosi lo scorso 21 gennaio, dal titolo “Dal seme al cibo. Il valore aggiunto della Cooperazione”, promossa da Cefa, Alleanza Cooperative Emilia Romagna e Regione Emilia Romagna per sensibilizzare e ribadire l’impegno della cooperazione della Regione sui temi del diritto al cibo e alla lotta contro la fame. (http://www.volontariamo.com/news-e-appuntamenti/notizie/interviste-inchieste/item/2408-stefano-zamagni-il-potere-della-cooperazione-sociale)

Intervento dal titolo: “Cooperazione e sviluppo umano integrale”. Stefano Zamagni – Professore Alma Mater Studiorum Bologna (appunti scritti durante la conferenza e non corretti dal relatore).

INTRODUZIONE

Le riflessioni che svolgerò successivamente sono naturalmente condizionate dallo scenario economico italiano che dal 2008 ad oggi ha visto progressivamente una forte riduzione dei fondi destinati alle politiche sociali, tendenza che nei prossimi anni potrà (speriamo)in parte almeno interrompersi senza però tornare mai più ai livelli pre 2008, dato che lo scenario demografico e sociale post crisi richiederebbe importanti risorse.

In Italia, poi, siamo stati condizionati dall’esistenza del welfare redistributivo piuttosto che vivere in un sistema di welfare generativo. Il welfare redistributivo è condizionato dall’idea che i diritti sociali sono a fruizione individuale (“io vengo a te, ti porto qualcosa e tu mi sei grato”) mentre il welfare generativo concepisce che i diritti vengono erogati perché legati al rendimento sociale (“io non posso aiutarti senza coinvolgerti”). Nel nostro paese abbiamo una mappa cognitiva dominata dal welfare redistributivo paternalistico (ci penso io per te e non ti coinvolgo) e non basata su un welfare generativo che è in grado di creare le risorse per finanziarsi. Questo è anche un atteggiamento messo in campo da molti volontari che spesso creano situazioni di “dipendenza” con i propri “assistiti” senza mettere in moto le capacità proprie di ciascuna persona: con la scusa della compassione e dell’essere buoni si crea quindi un welfare redistributivo che non fa evolvere. Consapevoli che le sofferenze e i bisogni creano disagio e a volte cattiveria, abbiamo invece noi il compito di rimuovere questi “mali” e per far “diventare buone” le persone che soffrono: dobbiamo creare reciprocità e coinvolgerle, nell’ottica del “Io faccio qualcosa per te ma tu mi dai qualcosa di te”.

E’ quindi evidente che i tagli e l’approccio alle tematiche del welfare condizioneranno anche le prospettive della cooperazione sociale.

Nel mio intervento concentrerò le mie riflessioni su tre tematiche:
  • Ibridazione
  • Innovazione sociale
  • Il potere come influenza più che come potenza.


IBRIDAZIONE

Prima di tutto vi consiglio la lettura di “Hybrid organizations: imprese ibride a matrice cooperativa” realizzato da Aicoon-cgm. In questo libro si parla del concetto di ibridazione. Il pubblico non ce la fa più e non riuscirà più a finanziare i servizi, così se fino ad oggi le cooperative sociali hanno lavorato molto con le Pubbliche Amministrazioni in futuro è bene che comincino a “fare ibridazione” con il mondo del profit. Consapevoli che avere a che fare con la Pubblica Amministrazione è più facile e con gli imprenditori più difficile.

Quando si incontrano gli imprenditori è bene ricordarsi di Richard Cantillon che “inventò” la definizione di imprenditore: http://it.wikipedia.org/wiki/Richard_Cantillon. Rapportarsi con gli imprenditori non è facile per un cooperatore sociale che deve ricordarsi che gli imprenditori hanno certe caratteristiche e che chi ha interessi di profitto vuol comandare. I rapporti con i dirigenti della Pa, per un cooperatore sociale, sono più facili ed è più facile entrare in sintonia perché ha più o meno le stesse caratteristiche. Se volete rapportarvi con gli imprenditori, invece, dovete diventare furbi perché voi, da buoni, rischiate di diventare fessi: ricordatevi, in particolare, che anche se gli imprenditori lo negano hanno bisogno di voi e del welfare. La Pubblica Amministrazione dichiara il bisogno che ha di voi, mentre gli imprenditori lo negano, e bleffano: per trattare con loro dovete avere il coraggio di trattarli a pesci in faccia dicendogli le cose come stanno senza avere paura! E importante anche conoscere e studiare l’organizzazione capitalistica e presentarsi ad alcuni tavoli per farsi ascoltare.

C’è un rischio, però, in particolare, che richiamo di correre: la perdita dell’identità, che deriva dal fatto che il fascino del potere e dei soldi esiste: perdere l’identità sarebbe una disgrazia per voi, ma bisogna correre il rischio. Come scongiurare il rischio della perdita di identità? La cooperazione sociale deve far capire agli imprenditori che il modello capitalistico è ormai obsoleto e non conviene più, che oggi c’è un modo diverso di fare profitto, che va oltre la moda della responsabilità sociale di impresa (fallita anche secondo Mckinsey http://www.eticanews.it/2013/05/mckinsey-la-csr-ha-fallito/) e oltre il welfare aziendale, se questo ripercorre il modello del welfare redistributivo e non generativo.


INNOVAZIONE SOCIALE

Consiglio la lettura della “Guida per l’innovazione sociale” in cui si dice chiaramente che l’innovazione sociale non è solo compito delle imprese sociali ma è anche compito delle imprese for profit, mentre non lo è della Pubblica Amministrazione, che non ha compiti di innovazione sociale. La guida ci dice che facciamo innovazione sociale quando riusciamo ad anticipare i bisogni sociali emergenti: l’innovazione sociale si ha quando un soggetto riesce ad ante-vedere le emergenze e i bisogni della collettività, il che non significa fare invenzione sociale. L’invenzione sociale risponde alla domanda “dove è il nuovo?”, l’innovazione sociale risponde alla domanda “è sostenibile la proposta?”, cioè lavora sul piano finanziario.

Molte coop sociali sono capaci di fare invenzioni sociali ma non innovazione, sono capaci di scrivere le proposte ma non sono capaci di fare progetti sostenibili. L’innovazione non fa riferimento alla desiderabilità, ma alla fattibilità. Inoltre l’innovazione sociale è tale quando è il frutto dell’incontro fra profit e non profit con il coinvolgimento della pubblica amministrazione come facilitatore. Anche l’Unione Europea ha deciso che i progetti finanziabili sono quelli che prevedono questo incontro che io amo chiamare SUSSIDIARIETA’ CIRCOLARE. Purtroppo in Italia i piani sociali di zona e i patti territoriali non hanno funzionato e non hanno prodotto risultati soddisfacenti; questo fallimento è avvenuto perché è mancata la sussidiarietà circolare che prevede la triangolazione fra società civile, imprese for profit e Pubblica Amministrazione. Ma tra i tre vertici dei triangolo ci deve essere dialogo e intercambio: questo modello della sussidiarietà circolare non è mai stato realizzato perché si sono realizzati dialoghi a due (no profit - Pubblica Amministrazione, no profit - for profit o pubblica amministrazione - for profit) ma mai sono stati fatti stringenti accordi a tre. Questo fallimento, purtroppo, è conseguente al fatto che tutti e tre i soggetti coinvolti nel dialogo vogliono comandare: la legge 328/2000 ("Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali") era una buona legge, ma proprio per questa mancanza di dialogo non si è concretizzata. Questo incontro dovrebbe essere proposto dalla cooperazione sociale, che però ha un limite di consapevolezza del proprio potere.


IL POTERE COME INFLUENZA

Come cooperative sociali operate da sempre sorretti dal principio di solidarietà.
Tutti parlano del principio di solidarietà come uno slogan ma pochi raccontano che cosa intendono per solidarietà. E’ bene quindi ricordarsi che esiste la solidarietà compassionevole che è quella che ha retto il welfare redistributivo, ed esiste la solidarietà fraterna, che tiene conto delle capacitazioni delle persone (il termine capability in italiano possiamo pensarlo come a somma fra capacità e azione). Io penso che la vera solidarietà sia quella fraterna. A Lampedusa i gestori del Centro di accoglienza per migranti hanno sbagliato perché hanno messo in campo una solidarietà compassionevole, dimenticandosi che non basta voler fare del bene, ma bisogna farlo bene. Le coop sociali normalmente fanno bene e lo fanno perché fanno solidarietà fraterna e non compassionevole, a differenza dell’impresa for profit che normalmente fa filantropia compassionevole come in tanti casi di welfare aziendale, che sono comunque azioni molto positive ma non di solidarietà fraterna. Bill Gates ha espresso un modello di welfare molto diverso da quello di Adriano Olivetti.

Nel fare solidarietà i cooperatori sociali è bene che siano consapevoli del loro potere, inteso come influenza e non come potenza. Il potere come potenza è quello teorizzato da Nietzsche, quello che vuole soggiogare gli altri e che intende far diventare l’altro dipendente da me; il potere come influenza è invece il potere di cambiare lo sguardo delle persone, il potere di far cambiare idea, il potere di cambiare il modello di mercato, di cambiare il modello di società. La cooperazione sociale non ambisce e non può avere l’ ambizione di avere il potere come potenza ma è naturalmente portata ad esercitare il potere come influenza. E questo fa la differenza, perché quando le cooperative sociali fanno bene e coerentemente il proprio lavoro, questo viene riconosciuto dalle persone, dagli utenti, dai cittadini. Si viene a sapere. Ecco perché non dovete cadere vittime delle basse aspettative: voi siete portatori di un carisma che è fondamentale, soprattutto in questo momento dove le persone sono deluse. Il carisma, non inteso solo in senso religioso, ma anche in senso laico e civile.

Chiudo con una frase di Giovannino Guareschi:

“Nelle situazioni di crisi e di difficoltà bisogna fare ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi. Bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme potrà gettarlo sulla terra resa ancora più fertile dal limo del fiume e il seme fruttificherà e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza.”

L’ augurio che io rivolgo a voi è che salviate il seme: avete un seme che è stato gettato tanti anni fa, perché la cooperazione sociale è una grande invenzione italiana; cambiano le forme a seconda delle diverse epoche storiche ma il seme deve rimanere e il seme si chiama solidarietà fraterna.

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