Il microcredito è, innanzitutto, fiducia. Riposta in chi, dalle banche, è bollato come «soggetto non bancabile», non idoneo a ricevere un finanziamento. Al suo posto, c’è qualcuno disposto a mettere a disposizione un fondo di garanzia: fondazioni, organizzazioni del terzo settore, piccole banche cooperative. (
http://www.avvenire.it/Economia/Pagine/microcredito-alto-tasso-di-beneficio.aspx)
E gli enti religiosi, che, secondo l’ultimo monitoraggio dell’Ente Nazionale del microcredito, «hanno promosso circa un quarto delle iniziative, al netto dei programmi a valenza nazionale e di quelli istituiti dalle Regioni».
Uno dei progetti più importanti resta il Prestito della speranza nato grazie a un accordo tra la Cei e l’Associazione bancaria italiana, e realizzato grazie alla rete delle Caritas diocesane. In Italia, nel 2012 (a soli due anni dalla prima legge in materia), sono stati concessi 7.167 microprestiti, per un ammontare di 63 milioni di euro. I finanziamenti a tasso agevolato vanno in due direzioni: gli interventi socio-assistenziali alle famiglie in difficoltà, e il sostegno alle piccole imprese, che a loro volta possono permettersi di assumere uno o due dipendenti.
L’effetto moltiplicatore dei benefici è ben visibile: «Si può dire - continua il rapporto - che 100 utilizzatori di microcredito finalizzato all’attività lavorativa producono occupazione, oltre che per loro stessi, anche per altre 143 persone, per un totale di 243 occupati». Non tutte le esperienze vanno a buon fine: l’insolvenza si attesta al 14%. Un dato che fotografa il dramma di una crisi nera, ma che al tempo stesso rivela l’altra percentuale, ben più grande: quella di chi, grazie a un gesto di fiducia, sta finalmente rialzando la testa. (
Continua..)