Se un anno fa parole come bootstrapping, crowdfunding, venture capital, angel investor potevano suonare strane ai più, adesso stanno lentamente entrando nel gergo comune. Si tratta di alcune delle modalità di finanziamento di una startup che, generando elevate uscite finanziarie mai ripagate da flussi in entrata adeguati, lotta costantemente per avere una stabile base finanziaria. Dalla fase di seed a quella di first stage si possono alternare diverse tipologie di finanziamento per superare le prime difficoltà: da una parte c’è il bootstrapping, ossia l’autofinanziamento con capitali e mezzi propri, dall’altra c’è il vero e proprio fundraising. (http://www.italiastartup.it/magazine/startup-e-fundraising-ho-lidea-ma-non-i-soldi-da-dove-incomincio/)

Andrea Solimene

Il bootstrapping – “tirarsi fuori dalle difficoltà iniziali senza ricorrere all’aiuto altrui, ma sfruttando le proprie risorse, seppur esigue” – ha il vantaggio di spingere il team a massimizzare i propri investimenti e porre il focus sulle decisione veramente urgenti e quindi concentrarsi sul mercato, sui clienti e sullo sviluppo del prodotto/servizio. Se da una parte consente di sviluppare sin da subito un maggior senso di responsabilità e priorità, dall’altra sono ben pochi coloro che hanno la possibilità di autofinanziarsi. Scatta così la ricerca dei fondi, una vera e propria caccia all’oro in vecchio stile nordamericano: dagli amici e parenti, fino a finanziatori pubblici e privati (incubatori, business angel, venture capital) e da poco anche attraverso piattaforme di crowdfunding.

La questione del finanziamento di una startup è di rilevante importanza. Uno studio condotto da Startup Genome sul tasso di mortalità delle startup mostra come una su dodici fallisce in fase di early stage, ossia ancor prima di vedere la luce del mercato. La carenza di fondi necessari per sostenere lo scaling, la diffusione su larga scala del prodotto, è una delle principali cause da associare al numero elevato di fallimenti. I fattori sono molteplici se si considera che una startup è – per definizione – una realtà che raggiunge il breakeven non prima di 3 anni (e questo nei migliori casi).

Ad oggi la strada più seguita per accedere a finanziamenti è il ricorso a bandi pubblici, a percorsi di accelerazione o incubazione e a investitori privati. I soggetti finanziatori e/o investitori subentrano in diverse fasi del ciclo di vita di una startup e, pertanto, cambiano i parametri valutativi in funzione anche dei fabbisogni espressi nel tempo. Nonostante ciò, gli elementi base su cui bisogna lavorare sono: l’impatto innovativo (non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche sociale), l’attrattività e la redditività del progetto ma, soprattutto, la capacità del team di portare avanti l’idea, che in rari casi conta più del 5%. Cosa fare? Bisogna partire da lontano. Spesso si commettono errori trascurando aspetti vitali, come l’analisi della fattibilità dell’idea stessa.

Il punto di partenza è sistematizzare tutto ciò che “frulla nella testa” e valutare se l’idea ha senso, se esiste già e se è qualcosa di legale (quest’ultimo necessita un approfondimento visti i casi di successo di AirBnb e Uber). Uno strumento strategico per riassumere come l’idea crea, distribuisce e cattura valore è il Business Model Canvas, un framework che rappresenta in nove blocchi gli elementi chiave di un’azienda (clicca qui per il video esplicativo).

Secondo step è realizzare i documenti strategici a sostegno dell’idea: il Business Plan e il Sales Pitch. Il primo fornisce un quadro di dettaglio su come la startup si organizza, si differenzia e si colloca sul mercato. Le aree di approfondimento interessano la descrizione dell’azienda e del prodotto/servizio da sviluppare, l’analisi di mercato e il piano di marketing, il vantaggio competitivo e l’analisi dei rischi, l’organizzazione del management e le competenze in gioco, e infine, la stima di costi e il piano economico-finanziario (vedi qui per approfondire). Il sales pitch, di contro, è una presentazione in cui si evidenziano – in maniera sintetica e con grande enfasi comunicativa – gli aspetti chiave illustrati nel business plan: l’idea, la value proposition, il modello di business, gli obiettivi, le ambizioni e le competenze in gioco (vedi qui per approfondire). Entrambi i documenti hanno una valenza comunicativa di rilievo e hanno l’obiettivo di convincere e coinvolgere potenziali soggetti ad investire nella propria iniziativa di business. Pertanto devono essere dettagliati, chiari e realistici ed evidenziare gli assunti e i requisiti alla base delle valutazioni fatte.

Terzo e ultimo step è farsi conoscere e, secondo una logica da venditore porta a porta, avviare la propria attività di fundraising. Nel corso degli ultimi due anni è aumentata la sensibilità verso l’innovazione. La rete offre numerose opportunità e bisogna monitorarla costantemente: si sono moltiplicati gli enti incubatori (università e privati) e sono aumentati i bandi pubblici destinati alle startup o idee innovative. Valutati i requisiti per potervi accedere, non escludetene nessuno: maggiori saranno le probabilità di ricevere fondi!

Il percorso è molto lungo e tortuoso. Il consiglio ovviamente è quello di avere molta pazienza, non affezionarsi troppo all’idea, ascoltare i feedback e critiche e, soprattutto, non rinunciare ai primi “no” e alle prime porte ricevute in faccia. Una buona idea potrebbe essere quella di noleggiare un camper e farsi un percorso a più tappe per la ricerca fondi in giro per l’Italia. Perché non provarci? In fondo, startup è anche passione e divertimento.

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