L’appello della Consulta nazionale proprietà collettiva. La Consulta nazionale della proprietà collettiva è una associazione senza scopo di lucro fondata nel 2006 che si propone di conservare, sviluppare ed approfondire le peculiarità storiche, culturali, istituzionali, giuridiche ed economiche dei Dominii Collettivi. Attualmente è presente in 14 regioni (Trentino, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia ed Abruzzo) e associa circa 500 enti esponenziali della proprietà collettiva. (http://pluraliweb.cesvot.it/gli-usi-civici-non-si-possono-vendere?utm_source=NL_pweb&utm_medium=newsletter&utm_campaign=pweb11-13)

di Michele Filippini

Il fenomeno della proprietà collettiva nasce dalle consuetudini in epoca medioevale e si è tramandato e conservato in una miriade di particolarissimi nomi, usi e costumi (Asuc, Asbuc, Suc, Frazioni, Comunalie, Università agrarie, Vicinie, Regole, Comunelle, Partecipanze, ecc.). Il quadro teorico di riferimento che accomuna queste istituzioni si è basato principalmente sulla teoria dei beni comuni (commons) sviluppata dalla studiosa e premio Nobel Elinor Ostrom (si veda questo interessante documentario). Oggi i dominii collettivi si pongono come strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale, come componenti stabili del sistema ambientale, come fonte di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali.

La Consulta Nazionale della Proprietà collettiva ha lanciato l’appello “Gli usi civici non si possono vendere” teso ad evitare che le proprietà collettive vengano vendute e svendute, come sta purtroppo avvenendo in alcuni contesti territoriali, dai Comuni che ne detengono l’amministrazione attraverso una riduttiva ed illegittima interpretazione delle vigenti leggi. Infatti i beni soggetti ad uso civico, per quanto detenuti e gestiti dal comune, sono e continuano ad essere inalienabili, inusucapibili imprescrittibili e immutabili nella loro destinazione agro-silvo-pastorale. Queste vendite dal punto di vista giuridico si configurano come reati, nei cui confronti l’Autorità Giudiziaria verrà chiamata ad intervenire per accertare le responsabilità dei singoli.

Michele FilippiniSvendere gli usi civici e le proprietà collettive, nell’attuale fase di sviluppo delle aree rurali, e della montagna in particolare, le cui strategie fanno affidamento essenzialmente nel modello di sviluppo locale e in quello di sviluppo sostenibile, vuole dire impoverire più di quanto non si creda il nostro Paese. Dove la proprietà collettiva è presente ed opera si riscontra più che altrove il mantenimento delle popolazioni a presidio del territorio, l’integrazione fra patrimonio civico, famiglie residenti e imprese locali, la manutenzione del territorio e la conservazione attiva dell’ambiente, la coesione della popolazione e la creazione di comportamenti cooperativi in campo economico, sociale, ambientale.

La Consulta si è quindi rivolta agli amministratori comunali, affinché tutelino la proprietà collettiva sul proprio territorio nella certezza che questa sia una risorsa di sviluppo non solo per l’immediato ma anche per le generazioni future. L’appello è rivolto anche alle stesse Comunità frazionali, perché rivendico e si riapproprino, secondo quanto prevede la legge, dei beni che spettano loro come comunità e che non possono essere assoggettati a vendita ed a destinazioni diverse da quelle che la stessa comunità ha deciso e deciderà di dare.

Non si tratta del salvataggio di un “relitto storico” ma del rilancio di un istituto vivo, attuale ed utilizzabile anche per nuove esigenze che la nostra società sta esprimendo in questo momento di crisi. E non si tratta di un patrimonio di scarso e residuale valore, se l’Istat ha quantificato le proprietà collettive in Italia in oltre 1.103.000 ettari di terreno.

Anche in Toscana vi sono importanti realtà tra cui ad esempio l’Asuc (Amministrazione separata dei beni di uso civico) di Montepescali (Gr), dove una recente sentenza del 2011 dalla Corte d’Appello di Roma ha riconosciuto la titolarità dei diritti civici ai cittadini residenti all’interno dello stesso territorio montepescalese comprendente anche la campagna sottostante, diritti che trovano un’origine storica sin dal 1147 epoca della costituzione di Montepescali a libero comune.

Michele Filippini è presidente della Consulta nazionale della proprietà collettiva.

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