L’Istat stima che in Italia siano 338mila gli ettari di terreni pubblici ad uso agricolo. Secondo Coldiretti su questi terreni potrebbero nascere 43mila nuove imprese agricole. Terreni pubblici spesso incolti in un paese dove, negli ultimi 40 anni, sono andati persi quasi 5 milioni di ettari di superficie coltivata, in favore dell’espansione edilizia, di usi industriali ed infrastrutturali. (
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di Cristiana Guccinelli
E’ una vecchia vicenda: il territorio italiano è preda di un consumo di suolo abnorme che, spesso, non corrisponde neanche ai reali bisogni della popolazione né allo sviluppo delle sue attività. Scelte che contrastano sia con la sostenibilità ambientale che con la prospettiva di uno sviluppo durevole.
Il dissesto idrogeologico al quale assistiamo e del quale siamo vittime mette all’ordine del giorno l’urgenza non solo di grandi opere di prevenzione ma anche di una politica di efficace manutenzione del territorio.
Il suolo è un bene comune. Il suo abbandono procura costi che ricadono sui cittadini sia per la mancata produttività di quei luoghi che per i danni idrogeologici causati dal loro abbandono. Dai dati pubblicati da Legambiente sappiamo ad esempio che, per riparare i danni del maltempo, spendiamo 1 milione di euro al giorno.
E’ per questo che ci piace dare voce, in questo numero, a coloro che si impegnano a difendere il principio di “terra bene comune”. Sono associazioni, cooperative, movimenti di cittadini che chiedono nuove regole per l’accesso alla terra e per la valorizzazione del patrimonio pubblico abbandonato. Tante esperienze, di contadini, produttori e cittadini, legate da processi di produzione sostenibili e partecipati che rappresentano nicchie di lavoro e di impegno di grandissimo interesse.
Il
progetto “Banca della terra” della Regione Toscana, che ha l’obiettivo di censire le terre pubbliche abbandonate per destinarle a piccole cooperative di giovani, ci pare assolutamente meritorio. E non solo perché sembra essere il primo in Italia. Speriamo che possa dare presto i suoi frutti!