Buon riposo, Madiba, il tuo sorriso dolcissimo ci mancherà. Hai lasciato una grande eredità alla gente del mondo solidale: la tua storia, le tue scelte e la forza delle tue idee, per una visione nuova delle relazioni tra persone, comunità e Paesi, nel nome della libertà e dei diritti per tutti. (
http://www.arciculturaesviluppo.it/blog/2013/12/09/linsegnamento-di-mandela-per-una-nuova-cooperazione-internazionale/)
Questa convinzione mi spinge a condividere alcune riflessioni personali sul senso e il valore della cooperazione internazionale.
Lo spunto è l’
articolo del 4 dicembre apparso su ilfattoquotidiano.it.
L’autore ha reso note alcune ‘indiscrezioni’ sul disegno di legge per la riforma della cooperazione allo sviluppo italiana, denunciando i costi ingenti e improponibili per l’istituzione e il funzionamento dell’Agenzia e il mantenimento di tutto l’impianto di struttura.
Non ho ricevuto alcun allegato alla bozza di legge contenente questi dati, perciò non posso commentarli.
Mi soffermo su titolo e apertura del pezzo, che lega il sistema degli aiuti internazionali, genericamente inteso, all’immagine del “carrozzone” del Ministero Affari Esteri.
Una cara amica milanese, da sempre impegnata sui temi della cooperazione e della finanza etica, dopo aver letto l’incipit dell’articolo ha esclamato, nel suo accento lombardo, pieno e forte: “Ma dai! Continuiamo a farci del male!”.
Il giornalista, quando sceglie titolo e apertura di un suo contributo, sa di prendersi una responsabilità importante, con la piena consapevolezza che si tratterà del primo impatto comunicativo forte con il pubblico e ne condizionerà la lettura seguente.
Non è una mia banale considerazione, ma l’insegnamento di Carlo Bo.
Quel “farci del male” della mia collega è espressione di un legittimo e giustificato timore della reazione che quel primo ‘colpo d’occhio’ può aver provocato sull’opinione pubblica.
È condivisa dai più la certezza che l’idea diffusa della solidarietà e cooperazione internazionale sia troppo spesso basata su una conoscenza superficiale, che genera scetticismo o diffidenza: se va bene!
Purtroppo, sono in aumento le battute generiche su dove vadano a finire gli aiuti ai Paesi poveri e i soldi raccolti privatamente dalle ong.
Mi perdonino i colleghi coinvolti nella realizzazione del programma, ma credo non sia d’aiuto a far cambiare idea ai più scettici neppure un format come
’Mission’, che propone un approccio basato sul pietismo e non stimola un confronto e una riflessione che vadano oltre l’emozione del momento.
Il tema della solidarietà e della cooperazione internazionale rischia di essere un argomento per addetti ai lavori, perché la maggioranza dell’opinione pubblica vede la crisi come un problema nazionale, al limite europeo.
Non vi è un pensiero diffuso sulla sua dimensione globale, come conseguenza di modelli di sviluppo e stili di vita del Nord del mondo, generatori ovunque di povertà ed emarginazione sociale.
Continuando a trattare il tema della crisi con questa ottica locale, i Governi europei in primis non avvieranno mai percorsi di inversione di tendenza, provocando la disgregazione dei legami sociali e la crescita dell’intolleranza verso lo “straniero”.
Così si aprono le porte a movimenti xenofobi, razzisti ed anti-europei, come
Alba Dorata in Grecia.
Madiba caro, nel nome della tua sfida vincente all’apartheid, noi cittadini solidali non molleremo.
Lo diciamo a voce alta: ci vuole un investimento culturale deciso e significativo per far maturare e dare radici ad una consapevolezza vera e diffusa dell’essere parte di un sistema globale. Nella bozza del disegno di legge di riforma della cooperazione si fa ancora riferimento all’ “educazione allo sviluppo“. In Europa si parla di “educazione alla mondialità”, come cambiamento di orizzonte e corresponsabilizzazione nella costruzione di un mondo più giusto e senza frontiere.
Sempre nella legge, la definizione di cooperazione è rimasta “allo sviluppo”. Sono refusi culturali che ci riportano un passo indietro. La dimensione globale in cui ci muoviamo richiede una condivisione maggiore (tra i tanti Nord e Sud diffusi nel mondo) delle risposte alle emergenze e povertà, la messa in atto di politiche e strumenti in grado di affrontare sfide complesse: come le conseguenze dei cambiamenti climatici, le nuove migrazioni, la recrudescenza dei conflitti locali, la difesa dei beni comuni e della sovranità alimentare, la realizzazione della pari dignità di genere.
L’approccio globale porta con sé il protagonismo forte di tutti gli attori, pubblici e privati.
Questa cooperazione “internazionale” (non più solo allo sviluppo) non può essere subalterna alla politica estera, perché è trasversale a tutte le politiche.
Va sottoscritto un patto comune per una nuova cooperazione internazionale, che superi l’idea del donor e affermi il principio del partenariato di pari dignità.
In questa ottica di cambiamento culturale, ben venga la scelta innovativa di un’ Agenzia, che, rifacendosi a positive esperienze europee, abbia però da subito fattiva autonomia rispetto alla Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo.
Ci aspettiamo in tanti dalla proposta di legge una chiara inversione di rotta, che, nel lasciarsi alle spalle esuberanti e costosi apparati, privilegi lo snellimento e l’operatività degli strumenti di programmazione e progettazione condivisa, e valorizzi tutti gli attori, nel rispetto del principio e valore della sussidiarietà.
L’idea di un “carrozzone” alla base degli aiuti internazionali va rifiutata, perché, nella sua genericità, non rende giustizia del contributo delle organizzazioni non governative che, anche in periodi difficili, ha evitato la perdita di dignità all’Italia nello scenario mondiale.
La storia e vita quotidiana delle ong può essere presentata piuttosto come una “carovana”, immagine che evoca il pionierismo e il viaggio per costruire un mondo migliore.
Questo è avvenuto durante lunghi anni in cui le ong italiane hanno aperto strade per rispondere alla limitata, incerta, talvolta quasi inesistente, disponibilità dei fondi pubblici per l’aiuto allo sviluppo.
Dialogando con Regioni ed enti locali, Fondazioni bancarie e private, organizzazioni internazionali, partecipando ai bandi comunitari e promuovendo la raccolta fondi privata.
Le organizzazioni sociali hanno messo a disposizione il volontariato internazionale, un’ importante risorsa che chiama soprattutto le giovani generazioni a misurarsi direttamente con le sfide globali di cui sopra: come risposta concreta alla xenofobia, al razzismo e alla cultura della discriminazione.
Noi, gente del mondo solidale, andiamo fieri delle nostre progettualità e iniziative e vogliamo che la cooperazione internazionale esca dalla visione di “nicchia” in cui è finita.
Sicuramente non è sufficiente una legge di riforma per raggiungere lo scopo, ma non si può certo sperare di farcela senza un quadro istituzionale di riferimento che giustifichi e sostenga le ragioni del rinnovamento culturale e gli dia respiro.
Non sono contraria a priori ad un disegno di legge governativo, essendo una dichiarata insofferente dei lunghi percorsi di questi anni per riformare la legge 49/87 .
Mi è stato spiegato che non viene negata, se lo si vuole davvero, dignità ad una consultazione ampia e fattiva con tutti gli attori non governativi ed è comunque previsto il passaggio parlamentare.
C’è oggi a disposizione un nuovo luogo politico di confronto, l’ intergruppo parlamentare per la cooperazione internazionale, che è attento alle istanze del mondo non governativo, tanto da ottenere la firma di 172, tra deputati e senatori, di maggioranza e opposizione, in sostegno al mantenimento degli impegni per l’APS nella Legge di Stabilità.
Le ong chiederanno ai parlamentari aderenti al gruppo di essere protagonisti diretti nell’organizzazione dell’agenda che fisserà le audizioni sulla riforma.
In Italia si sono fatte tante riforme e controriforme; il mondo del Terzo Settore ha ottenuto leggi parlamentari e a percorso misto (parlamentare e governativo), sulle onlus, il volontariato e la promozione sociale. Si devono vincere le correnti avverse e superare gli ostacoli con la tenacia e la convinzione delle proprie ragioni. Ce l’ha dimostrato la grande storia di Nelson Mandela.
di Silvia Stilli