Venerdì 29 novembre si è svolto a Milano
Sharitaly, il primo evento italiano dedicato all’economia collaborativa. Curato da
Collaboriamo.org (la piattaforma che monitora e registra i servizi collaborativi italiani) di Marta Maineri, Sharitaly ha riunito all’Università Cattolica e alla Fondazione Eni Enrico Mattei più di 200 persone, per una giornata di informazione, cultura, confronto. (
http://www.irisnetwork.it/2013/12/sharitaly-economia-collaborativa-design-dei-servizi/)
Ma cosa si intende per economia collaborativa? Per molti è una risposta alla crisi, per altri un nuovo modello economico e sociale che sposta il confine tra privato e pubblico. Nelle parole di Marta Maineri è una “nuova” economia che sfrutta la tecnologia (complice la facilità d’interazione offerta dalle nuove piattaforme digitali) per proporre forme “antiche” come il baratto e lo scambio portandole su una scala più ampia e dandone una maggiore possibilità di utilizzo. L’economia collaborativa si basa su pratiche che favoriscono l’uso e lo sfruttamento del bene, privilegiando il riuso piuttosto che l’acquisto, l’accesso piuttosto che la proprietà. Si possono individuare quattro macro-aree d’azione: sharing (uso comune di risorse, es. bici pubbliche), bartering (scambio di beni e servizi tra privati), crowding (collaborazione economica o progettuale di più persone per lo sviluppo di un prodotto o di un servizio), making (autoproduzione attraverso la rete). Insomma, si sta affermando un nuovo modello di servizi in cui gli utenti partecipano direttamente alla progettazione e costruzione dei servizi stessi.
Qualche dato. A Sharitaly sono stati presentati i risultati di due ricerche. La prima, condotta da Modacult (il Centro per lo studio della moda e della produzione culturale della Cattolica) in partnership con altri 6 atenei italiani, ha cercato di mappare le pratiche di collaborazione italiane, prendendo in considerazione piattaforme digitali che integrano in modo innovativo le sfere del consumo, della partecipazione, del lavoro e che generano nuova progettualità sociale, politica ed economica. Non un compito facile – come ha sottolineato Silvia Mazzucchelli – vista la difficoltà di censirle in quanto non hanno forme giuridiche definite. Le piattaforme collaborative on line sarebbero circa 250, divise in 160 piattaforme di scambio e condivisione, 40 esperienze di autoproduzione, 60 di crowdfunding. I servizi più utilizzati sono quelli legati alla mobilità (car-sharing), alloggio condiviso, scambio, baratto. Le resistenze all’utilizzo dei servizi collaborativi? La condivisione di beni di proprietà, la fiducia/sfiducia verso gli altri, una mancanza di regolamentazione normativa, pochi fondi di investimento.
Duepuntozero Research ha invece indagato la propensione degli italiani all’utilizzo di questi servizi. Secondo la ricerca il 13% della popolazione ha preso parte almeno una volta a servizi collaborativi (a fronte del 50% in Usa e 60% nel Regno Unito). Dal 2011 ad oggi i numeri sono più che triplicati, in particolare nell’ambito dei trasporti, turismo, energie, alimentazione, design. Sembrerebbe dunque che l’economia collaborativa si stia avvicinando al tipping point (un punto di non ritorno) per la diffusione del fenomeno tra la popolazione: o esplode o si attenua.
Particolarmente interessante l’intervento di Daniela Selloni, del Politecnico di Milano, che si occupa di design dei servizi e innovazione sociale, in particolare di design dei servizi collaborativi. La Selloni ha sottolineato come – in presenza di economie sempre più basate sui servizi – sia importante una progettazione che li renda efficaci, efficienti, piacevoli, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Gli utenti diventano veri e propri service makers, perché letteralmente auto-producono i servizi di cui hanno bisogno, operando in una zona ibrida a metà tra pubblico e privato, mercato e società, amatoriale e professionale, profit e nonprofit. La ricercatrice ha illustrato il progetto “Cittadini Creativi”, un format inedito di service design per la città, dalla quale sono nati alcuni servizi co-progettati e co-prodotti insieme ai cittadini di un quartiere di Milano. Cittadini Creativi è uno spazio di incontro tra cittadini e designer ospitato da Cascina Cuccagna; rappresenta quindi un esempio di luogo / struttura a supporto dell’attività di progettazione che può essere a tutti gli effetti definito come un FabLab di servizi (o distretto urbano di servizi collaborativi).
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