Un vero e proprio mercato di capitali per le imprese sociali, quotate su un listino loro dedicato. In altre parole, una Borsa sociale. Che avrebbe anche un enorme valore simbolico: la “contaminazione” in senso sociale, e della sostenibilità, delle logiche e dei meccanismi che stanno alla base dei mercati finanziari. La finanza etica al suo meglio, o quasi. Almeno in linea teorica, la Borsa sociale potrebbe infatti rappresentare uno dei canali d’elezione per attrarre risorse da indirizzare verso lo sviluppo di quell’ecosistema vasto ed eterogeneo di organizzazioni che vanno sotto il nome di economia sociale. Specie le risorse provenienti dall’impact investing, un settore dato in forte crescita già oggi e ancor più nel prossimo futuro.(http://www.eticanews.it/2013/12/italia-avanti-piano-verso-borsa-sociale/)

 

A che punto sono i progetti per la realizzazione di una Borsa sociale in Italia? Esistono esperienze internazionali a cui poter fare riferimento? Quali altri canali innovativi di finanziamento si stanno aprendo per le imprese sociali? Di tutto questo e di molto altro si parla nel volume, uscito da poche settimane in libreria, “Impresa sociale & innovazione sociale. Imprenditorialità nel Terzo settore e nell’economia sociale: il modello IS&IS”, curato da due docenti dell’Università Bocconi, Giorgio Fiorentini e Francesca Calò. In particolare, ad affrontare l’argomento è il capitolo “Strumenti innovativi di Impact Investing: la Borsa Sociale”: a curarlo è stato Cesare Vitali, analista ESG in Etica Sgr, la società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Popolare Etica. A Vitali abbiamo posto alcune domande per saperne di più. A beneficio, magari, anche di chi sta pensando a una lettura “buona” cui dedicarsi nelle prossime feste di Natale.



Quali sono gli esempi di Borsa sociale nel mondo?

A livello internazionale il solo modello di Borsa Sociale attualmente operativo è la London Social Stock Exchange, inaugurata nel Regno Unito nel giugno 2013, grazie al supporto, tra gli altri, della Rockfeller Foundation. Un contributo interessante è stato sviluppato a Singapore tramite il progetto Impact Investment Exchange Asia, in fase di studio di fattibilità e finanziato dal Governo locale e dalla Asian Development Bank. Esistono poi altri modelli “limitati” di Borsa Sociale, i quali non prevedono un vero e proprio mercato borsistico con ritorni finanziari per gli investitori ma semplicemente mettono in collegamento i progetti delle imprese sociali e i donatori: mi riferisco in particolare ai progetti esistenti presso la Borsa brasiliana di São Paolo, la BVS&A-Bolsa de Valores Sociales e Ambientais, e presso la Borsa sudafricana di Johannesburg, con il SASIX-South African Social Investment Exchange, lanciati rispettivamente nel 2003 e nel 2006.


E In Italia?

Da noi, nonostante la sensibilità crescente degli investitori e la presenza di un Terzo settore ormai strutturato, il dibattito sulla Borsa Sociale è meno sviluppato rispetto ad altri Paesi: nel contesto italiano l’ostacolo più difficile da superare è quello legato al divieto assoluto di distribuzione dell’utile delle imprese sociali – quelle ex-lege introdotte col D.Lgs. 155/2006, ndr -. Tale divieto è limitante, in quanto una remunerazione, seppur minima, consentirebbe all’impresa di rendersi attrattiva agli investitori oltre che di assolvere la propria funzione sociale. Alcuni contributi in Italia valutano la possibilità da parte delle Onlus di emettere titoli di solidarietà: tali titoli, definiti come obbligazionari a tasso fisso non convertibili, pur essendo stati regolamentati sedici anni fa, con la legge 460/1997, non esistono attualmente sul mercato. In Italia, inoltre, il dibattito sulla quantificazione dell’impatto sociale sviluppato dalle organizzazioni del Terzo settore deve essere affrontato in modo più strutturato dalla comunità finanziaria.


Parlare di Borsa sociale significa anche parlare di impact investing: si può considerarlo una forma di finanza sostenibile? Alcune ricerche in materia lo trattano come una delle declinazioni che essa può avere…

A mio avviso sì. Perché l’impact investing non è filantropia ma concepisce l’investimento come strumento di creazione di impatto sociale positivo. Dove il capitale può essere recuperato dall’investitore e venire reinvestito. L’impact investing rafforza dunque la struttura patrimoniale delle organizzazioni beneficiarie dell’investimento, conferisce maggiore responsabilizzazione alle imprese sociali e permette un monitoraggio più efficace degli standard di servizio offerti. Le analisi di mercato recentemente effettuate, in particolare GIIN 2013 e KPMG 2013, dimostrano inoltre come tale mercato assuma ormai dimensioni interessanti e soprattutto in espansione. Lo stesso Eurosif, il principale network europeo di investimenti responsabili, dal 2012 considera l’impact investing all’interno delle categorie di investimento Sri.


Su quali altri canali di finanziamento innovativi, oltre alla Borsa sociale, le imprese e l’economia sociale si stanno indirizzando per un migliore accesso alle risorse finanziarie?

Tra i modelli maggiormente innovativi sviluppati negli ultimi anni vi sono certamente i Social impact bond: prestiti emessi da un intermediario finanziario che raccoglie capitali per supportare un progetto a finalità sociale. La principale innovazione dello strumento è legata al meccanismo di rimborso, dove si prevede che gli investitori siano remunerati dalla Pubblica amministrazione in proporzione al raggiungimento dell’effettivo impatto sociale conseguito a favore della comunità grazie all’attività delle imprese sociali finanziate. Tra gli altri modelli esistenti vi è inoltre quello della Venture philanthropy, per la quale si intende la partecipazione tramite capitale di rischio in un’organizzazione sociale ad alto impatto innovativo e con elevato potenziale di sviluppo. L’innovazione finanziaria da questo punto di vista è facilitata nei Paesi anglosassoni, in cui si sono sviluppate diverse forme di investimento nell’imprenditorialità sociale. È il caso ad esempio delle Community Development Finance Institutions (Cdfi), società finanziarie che investono nelle Community interest company (Cic) e nelle Low profit limited liability company (L3Cs): sono forme giuridiche esistenti rispettivamente nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che possono essere adottate a condizione di soddisfare alcuni requisiti di utilità sociale e di rispettare determinati vincoli sulla distribuzione degli utili.

Andrea Di Turi, @andytuit

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