Nel 2050, il 70% degli abitanti del pianeta vivrà nelle aree urbane, che continuano a espandersi senza sosta. Ma a che prezzo? Se palazzi, autostrade e centri commerciali prendono il posto dei campi, uno dei problemi principali, oltre alla violazione del paesaggio, diventerà come sfamare i tanti nuovi cittadini. La Giornata Mondiale dei Suoli, che si celebra oggi in tutto il mondo con eventi di sensibilizzazione e convegni, ci ricorda l’importanza – se i disastri italiani delle ultime settimane non fossero bastati – di fermare il consumo di suolo. «Dal 1990 al 2010 in tutto il mondo sono stati impermeabilizzati 300mila chilometri quadrati di terreni. E’ come se l’Italia fosse stata tutta cementificata», spiega Ciro Gardi, uno dei principali esperti italiani di suolo, ricercatore del Joint Research Centre della Commissione europea e autore, insieme a Nicola Dall’Olio e Stefano Salata, del libro “L’insostenibile consumo di suolo”. (http://www.lastampa.it/2013/12/05/scienza/ambiente/green-news/giornata-mondiale-dei-suoli-il-consumo-mette-a-rischio-la-sicurezza-alimentare-7fZ5h0afJ6BM5V0oDFeySI/pagina.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter)

Veronica Ulivieri

Gli impatti ambientali, fortissimi, vanno dalla distruzione del paesaggio al rischio idraulico, fino alla frammentazione degli habitat e al cambiamento del clima delle città, dove, a causa dell’assenza di vegetazione, il calore viene assorbito maggiormente e dissipato in misura minore. Senza contare gli effetti sulla sicurezza alimentare: «Per adesso il tema viene un po’ trascurato perché i numeri sono relativamente piccoli, ma il problema è rilevante. Le città di solito sorgono vicino ai campi più fertili del pianeta, in grado di produrre derrate alimentari per i suoi abitanti. Con l’espansione urbana, rischiamo di perdere i terreni più produttivi del pianeta. Negli ultimi 20 anni è già andato perso l’1,5-2% di questi suoli». E il fenomeno non si ferma qui, ma ha nel land grabbing un ulteriore effetto distorto a catena: «La Cina, per esempio, sta iniziando a preoccuparsi della perdita di terreni agricoli e sta facendo fronte al problema acquistando grandi estensioni di terreni produttivi nei Paesi più poveri». Lo stesso avviene da parte di molti altri stati sviluppati, dagli Stati Uniti all’Italia. In Madagascar o nella Repubblica Democratica del Congo i suoli vengono così spesso tolti alle popolazioni locali, complici governi compiacenti e mancanza di documentazione di proprietà, per essere venduti a grandi corporation, con il risultato che per placare la fame di una parte del pianeta si alimenta la fame in altre aree.

E se la tendenza attuale sarà mantenuta, la cementificazione procederà molto più velocemente della crescita demografica: «In Italia quest’ultima è quasi nulla, eppure si continua a costruire. E anche nei paesi in via di sviluppo il consumo di suolo è più rapido dell’aumento della popolazione». Le ragioni di questo “disaccoppiamento” sono tante e vanno dal cambiamento degli stili di vita – per cui maggiore benessere significa anche accesso ad abitazioni più grandi o acquisto di una seconda casa – ai fenomeni speculativi, fino alla crescente domanda, soprattutto in certe aree del pianeta, di spazi produttivi e infrastrutture. «Un’espansione che avviene in modo un po’ irrazionale, perché spesso anche in Italia accanto ad aree industriali dismesse se ne sono costruite di nuove. Manca un coordinamento a livello di area vasta per la pianificazione del territorio, così che spesso si arriva al paradosso di Comuni vicini che costruiscono ognuno un centro commerciale».

Anche le leggi di mercato fanno la loro parte: «Il nostro sistema imperfetto non è in grado di valutare i costi ambientali dell’edificazione di nuove costruzioni. Così, i proprietari di terreni agricoli che vengono resi edificabili, sono spinti a cementificare per far aumentare il valore del loro lotto». Per fermare la corsa alla cementificazione, in alcuni Paesi è stata introdotta una tassazione che incentiva il recupero degli edifici e scoraggia l’impermeabilizzazione di aree verdi. Altrove si è già provveduto a disinnescare il meccanismo perverso del mercato, prevedendo che la rendita del terreno edificato non debba andare più al proprietario del terreno, ma al Comune: «Rimane la proprietà privata, ma viene introdotto il concetto che il suolo fornisce dei servizi ecosistemici a tutta la comunità», che in questo modo viene in un certo senso “compensata”.

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