La Sesta Opera San Fedele, una storica associazione di volontariato carcerario (che il 23 novembre organizza un importante convegno a Milano), ha compiuto un percorso unico di integrazione dei carcerati in un condominio dell’hinterland milanese.

Per recuperare le persone che hanno deviato ci sono molte strade. Aiutarle a prendere consapevolezza dell’errore commesso e del torto fatto ad altri individui e alla società è il primo passo. Ma molte di queste persone, già particolarmente fragili, hanno anche bisogno di essere aiutate a reinserirsi nel tessuto sociale, e non sentirsi condannate, temute o sopportate, ma accolte.

Un interessante esperimento in questa direzione è stato fatto dalla Sesta Opera San Fedele - associazione di volontariato carcerario, socia del Jesuit Social Newtork - all’interno del progetto Aria, finanziato da Fondazione Cariplo e Regione Lombardia. Si tratta di un progetto volto a promuovere il reinserimento di detenuti soggetti a misure alternative attraverso il lavoro e la possibilità di un alloggio.

Il primo passo, due anni fa, è stato la ricerca di un alloggio, per la quale la Sesta Opera ha contattato il Comune di Novate Milanese, alle porte di Milano: attraverso una cooperativa di edilizia sociale (La Benefica), il Comune ha offerto in comodato d’uso per un anno un appartamento per ospitare due detenuti. Questa soluzione ha trovato però subito l’ostilità degli inquilini, che temevano di trovarsi dei «delinquenti in casa» che avrebbero attentato alla loro sicurezza. La maggior parte degli inquilini erano persone anziane, perciò più timorose e meno inclini ai cambiamenti. Attraverso la partnership con la cooperativa di mediazione dei conflitti Dike, la Sesta Opera ha cercato di ovviare a un problema che inizialmente sembrava insormontabile e - prima dell’arrivo dei detenuti - sono stati proposti incontri di mediazione a cui erano invitati tutti gli inquilini.

Il primo incontro, nel giugno 2012, è stato quasi disastroso: le reazioni erano rigide e violente, i toni minacciosi. Naturalmente la paura di ciò che era sconosciuto era la principale causa, oltre a una sorta di sordo egoismo nel non volere uscire dai propri schemi mentali di persone «perbene» che non volevano avere a che fare con la delinquenza.

Ma i mediatori non si sono scoraggiati e, agendo in modo rassicurante e facendo leva sulla parte migliore di ognuno, nel secondo incontro hanno cominciato ad aprire alcuni spiragli. Era la fase del patteggiamento, in cui gli inquilini hanno posto delle condizioni: che i detenuti fossero controllati dagli operatori sociali, che fossero seguiti da psicologi e da volontari, che ci fosse il modo di conoscerli prima.

Nel terzo incontro gli inquilini sono stati coinvolti nel progetto ed è stato chiesto loro (e ottenuto) un aiuto concreto per arredare l’appartamento, stimolando responsabilità e partecipazione.

Infine, nell’ottobre dell’anno scorso, è arrivata l’assegnazione dell’alloggio a due detenuti a cui erano state concesse le misure alternative al carcere, due fratelli brasiliani. È stato un successo: gli inquilini del palazzo hanno quasi adottato i due fratelli, invitandoli a cena, premurandosi che si trovassero bene nel quartiere e regalando loro una lavatrice e varie suppellettili. La conoscenza personale aveva trasformato questi «mostri» in «simpatici giovani bisognosi di comprensione».

Questo episodio indica come si può lavorare non solo per il bene e la crescita dei soggetti deboli o emarginati, ma per tutta la società, contribuendo a creare un mondo in cui sono bandite la paura e l’insicurezza a favore della solidarietà e della pace. (http://www.popoli.info/EasyNe2/Primo_piano/Carcere_dalla_paura_alla_solidarieta.aspx)

Guido Chiaretti. Presidente della Sesta Opera.

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