Le conseguenze dell’aumento del global warming. Costi pari a 200 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni, arrivano a 3.800 nel 1980–2012.
Il nuovo rapporto “Building Resilience: Integrating Climate and Disaster Risk into Development”, pubblicato dal Gruppo della Banca mondiale e del Global facility for disaster reduction and recovery (Gfdrr) raccomanda di aumentare gli investimenti dedicati alla gestione delle minacce climatiche ed alle catastrofi naturali. La Banca mondiale sottolinea che «Nella misura in cui le condizioni climatiche mondiali continuano ad evolvere, i costi e i danni causati dai fenomeni climatici estremi dovuti al global warming non cessano di aumentare. Tutti i Paesi sono colpiti, ma i Paesi in via di sviluppo sono quelli che patiscono di più per le vite perdute o spezzate dalle inondazioni, dagli episodi di siccità e dalla tempeste sempre più catastrofiche».
Il presidente del Gruppo della Banca mondiale, Jim Yong Kim, ha ricordato che «Il tifone Haiyan, il più potente ad aver mai colpito le filippine, ha chiaramente dimostrato come il cambiamento climatico può accrescere l’intensità dei fenomeni climatici estremi nei quali i poveri soffrono di più. L’organizzazione dei soccorsi costituisce certamente la nostra priorità nell’immediato, ma delle strategie di una tale ampiezza ci ricordano che non ci possiamo più permettere di rimandare le azioni richieste per ridurre le emissioni di gas serra ed aiutare i Paesi a prepararsi ed adattarsi ai rischi climatici».
Il rapporto, presentato alla Conferenza delle parti dell’Unfccc in corso a Varsavia, dice che «Possiamo fare di più per aiutare i Paesi vulnerabili ad adattarsi al cambiamento climatico ed a prepararsi a far fronte meglio alle catastrofi di origine climatica». Il documento della Banca mondiale si occupa degli effetti graduali del cambiamento climatico sull’innalzamento del livello del mare, sulla salinizzazione delle fonti idriche, sulla siccità e sugli eventi climatici estremi come le inondazioni, le ondate di caldo ed i cicloni.
La redazione del rapporto è terminata prima che il super-tifone Haiyan/Yolanda devastasse le Filippine e descrive il costo delle catastrofi climatiche, le perdite di vite e di posti di lavoro ma anche i danni subiti dalle proprietà private e dalle infrastrutture e la loro particolare incidenza sui poveri.
Secondo i dati della compagnia di assicurazioni Munich Re, le perdite dichiarate dovute alle catastrofi naturali sono stimabili in 3.800 miliardi di dollari per il periodo 1980 – 2012 e sarebbero stati causati per il 74% da eventi climatici estremi. Rachel Kyte, la vice-presidente della Banca mondiale che si occupa di sviluppo sostenibile, ha evidenziato che «Nel corso degli ultimi 30 anni, le catastrofi naturali sono costate la vita a più di 2,5 milioni di persone ed hanno causato perdite per circa 4.000 miliardi di dollari. Le perdite economiche non cessano di aumentare: sono passate da 50 miliardi di dollari all’anno nel corso degli anni ‘80 un po’ meno di 200 miliardi all’anno nel corso dell’ultimo decennio e sono state causate per i tre quarti circa da eventi climatici estremi. Benché sia impossibile stabilire un legame tra fenomeni meteorologici particolari e il cambiamento climatico, gli scienziati predicono che gli eventi climatici estremi guadagneranno in intensità se niente viene fatto per rallentare il cambiamento climatico».
Il rapporto sottolinea le lezioni che si possono trarre dall’esperienza del Gruppo della Banca mondiale ed esorta Stati e comunità a sviluppare e promuovere la collaborazione dei diversi settori e discipline per rafforzare, sul lungo termine, la resilienza agli choc climatici, ridurre i rischi ed evitare un aumento dei costi di intervento. Le ripercussioni economiche degli choc climatici sono particolarmente gravi nei paesi a reddito medio ed a crescita rapida, nei quali i beni di valore sono sempre più esposti. Il rapporto evidenzia che «L’impatto medio delle catastrofi ha raggiunto l’1% del Pil nel corso dei 6 anni trascorsi dal 2001 al 2006, cioè 10 volte più della media stabilita per i Paesi a reddito elevato.
Il rapporto fa l’esempio dell’uragano Tomas, che ha devastato Saint Lucia nel 2010 distruggendo l’equivalente del 43% del Pil di questo piccolo Stato insulare. Nel Corno d’Africa, la lunghissima siccità del 2008 – 2011 ha portato la fame a 13,3 milioni di esseri umani e solo in Kenya ha causato perdite per 12,1 miliardi di dollari.
Ma uno sviluppo che si adatti agli choc ed alle catastrofi climatiche può far risparmiare vite e proteggere i mezzi di sussistenza: «I sistemi di allerta precoce hanno salvato innumerevoli vite a livello mondiale – si legge nel rapporto - e procurano ordinariamente dei vantaggi il cui valore è da 4 a 36 volte più elevato del loro costo iniziale di messa in opera». Qui l’esempio è quello degli Stati indiani dell’Odisha e dell’Andrah Pradesh, che per anni si sono dedicati alla prevenzione ed alla preparazione alle catastrofi e che hanno avuto “solo” 40 morti quando sono stati colpiti quest’anno dal ciclone Phailin. Nel 1999 un ciclone simile aveva causato 10.000 vittime nei due Stati.
Ma la Banca mondiale ed il Gfdrr non si nascondono che malgrado i loro importanti ritorni, gli investimenti iniziali costano cari: «L’esperienza in materia di valutazione delle catastrofi porta a concludere che costa dal 10 al 50% in più costruire delle infrastrutture più resilienti per rimpiazzare le strutture originarie ed i grandi progetti infrastrutturali rischiano di diventare sensibilmente più cari. Per esempio, in seguito alle inondazioni avvenute in Namibia nel 2008, si è dovuto investire per rialzare le strade e migliorare il drenaggio delle zone inondabili. Questi lavori sono costati 5,5 volte di più del valore delle strutture danneggiate sostituite».
Alla Banca mondiale dicono: «Ne sappiamo già molto sulle misure di rafforzamento della resilienza agli choc climatici, ma abbiamo ancora bisogno di migliorare la cooperazione tra le organizzazioni e le discipline interessate. Il Gruppo della Banca mondiale ed altri partner hanno accumulato un bagaglio considerevole di esperienza globale nei settori dello sviluppo adattato agli choc climatici, ma hanno bisogno di armonizzare meglio i loro programmi di gestione del clima e delle catastrofi, per evitare la frammentazione delle capacità locali e delle risorse mondiali».
La Kyte conclude: «La gestione dei rischi di catastrofe resta al primo posto delle priorità del Gruppo della Banca mondiale. Dobbiamo dedicare ancora più sforzi all’integrazione della gestione dei rischi di catastrofi e dello sviluppo. Possiamo aiutare i poteri pubblici a migliorare i loro processi di pianificazione, ad applicare delle norme che rendano le strutture più resilienti alle catastrofi ed a mettere in atto dei sistemi di allerta precoce. Il portafoglio della Banca mondiale in questo settore guadagna rapidamente di importanza e i due terzi delle somme investite in questo campo sono dedicate alla prevenzione e alla preparazione, piuttosto che a interventi a posteriori».
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